Da Cervia all'Ucraina, i volontari romagnoli salvano tre famiglie: "Dai loro sguardi capisci che ne vale la pena"

Cervia

Dal progetto iniziale di un gruppo ristretto di persone, organizzare una raccolta di materiale da portare in Ucraina, è nata una vera e propria spedizione, da Cervia a Cernovtsy: sei furgoni presi a noleggio e stipati di aiuti e quasi 3.500 chilometri macinati nell’arco di quattro giorni, conclusi con un passaggio umanitario a tre famiglie in fuga dalla guerra. Un’avventura che ha visto impegnati 12 volontari, quasi tutti cervesi con l’aggiunta di alcuni componenti dai territori Ravennate, Forlivese e Cesenate. A raccontarla è un giovane agricoltore che però non vuole apparire («non cerco pubblicità») nonostante sui social cervesi le foto del viaggio e degli incontri circolino («ma ho dovuto farle – spiega – per aggiornare quanti avevano donato il materiale, altrimenti non avrei postato nulla, era la cosa più lontana dai miei pensieri»). Un’impresa resa possibile dall’unione di più forze. «Mio zio dal 1993 ha fatto diversi viaggi umanitari e parlando anche con un ucraino che vive in Romagna ci siamo detti “perché non organizziamo qualcosa?”. Detto fatto, abbiamo iniziato a pensare come, ma la cosa ha preso una dimensione diversa da quella che avevamo immaginato. In tanti ci hanno dato una mano, si sono sommate adesioni e contributi, tanto che alla fine abbiamo riempito quattro pulmini e due furgoni». Giovedì scorso la partenza e dopo aver attraversato Slovenia, Ungheria e Romania, l'arrivo a Chernovtsy. Attraverso un contatto in loco, gli aiuti sono stati lasciati in diversi centri «da dove il materiale verrà prelevato e trasferito nei punti più caldi del conflitto». Sabato pomeriggio il percorso inverso in un clima di tensione crescente; proprio in quei frangenti, infatti, i bombardamenti russi hanno toccato anche l'Ovest del Paese. E una volta superato nuovamente il confine di Siret, è scattata la seconda parte della spedizione. «Abbiamo caricato e accompagnato in Italia tre famiglie provenienti da Kiev e altre città dell'Est, una composta da padre e madre con 5 figli, il più piccolo di 5 mesi e il più grande di 7 e mezzo, una signora con l'anziana madre in carrozzina e i consuoceri e una terza, una ragazza con la figlia e il cagnolino (il padre è invece rimasto in Ucraina) portate tra Biella e Milano, dove vivono parenti e amici. Avevamo avuto richieste anche di persone di Cervia che ci hanno chiesto di poter aiutare familiari e conoscenti a giungere in Italia, ma purtroppo non è stato possibile perché erano tutte vicine a zone di guerra e non saremmo potuti passare. Cosa resta di quello che abbiamo vissuto e provato? Il senso di qualcosa per cui è valso la pena fare». D’altronde, come scrive su facebook, «ne vale la pena perché nonostante la tiratona del viaggio, arrivi più carico e felice di poter dare una mano. Ne vale la pena quando scendi dal pulmino con i denti che tremano perché fuori è -11 e quando ti lavi con le salviette perché la doccia sei troppo stanco per farla in un buco di bagno. Quando nonostante tutti gli imprevisti, tutti i problemi e le disavventure tutto finisce bene. e anche quando in dogana trovi i soliti che se ne vogliono approfittare. Ne vale la pena quando guidi per ore in paesi sconosciuti. Quando vedi guardie armate agli ingressi di commissariati di polizia e anche quando vedi gli agenti che al posto della pistola d’ordinanza imbracciano fucili da assalto. Ne vale la pena quando vedi negli sguardi delle persone in fila in frontiera un barlume di speranza in quello che verrà. Ne vale la pena anche quando sei in manovra col furgone dopo aver scaricato il materiale, e un ragazzo di poco più della mia età mi bussa nel vetro e con le mani in preghiera mi dice: thank you».

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