“Con tutto il rispetto per il presidente della Repubblica, la sua autorevolezza, l’impegno e la saggezza che fa onore a tutti gli italiani, non capisco proprio che fastidio possa dare una sillaba presente nello spartito di Novaro ma non nel testo di Goffredo Mameli; è un incentivo al rispetto delle Forze armate ed alla nostra indipendenza, ma non certo alla guerra, semmai a vincere in ogni sport con l’Inno che ti ricorda l’orgoglio di batterti per il tuo paese”.
Giannantonio Mingozzi, esponente del Partito repubblicano (Pri) di Ravenna, interviene così a difesa del ‘sì’ finale nell’Inno d’Italia.
“Si dirà che vi sono problemi più gravi e impellenti da affrontare piuttosto che il ‘sì’ finale del Canto degli italiani, depennato per decreto presidenziale e governativo su proposta dello Stato maggiore dell’Esercito; quindi da archiviare nelle cerimonie ufficiali quando cori e bande militari eseguono l’Inno in Italia ed all’estero”, ma per Mingozzi quella “esclamazione conclusiva è ormai patrimonio consolidato del nostro patriottismo, difesa della Repubblica e sacrificio di tanti italiani”. Dunque, “non sono d’accordo e l’avrei lasciato per spiegarlo alle nuove generazioni, soprattutto dopo quell’Italia chiamò, un verso che, seppure coniato in un contesto del tutto diverso da quello odierno, rappresenta la sintesi tra amore di Patria, la nascita di una Repubblica libera e unita, il sacrificio di tanti combattenti del Risorgimento e i ravennati in difesa della Repubblica Romana, la Liberazione e la lotta partigiana per sconfiggere il nazifascismo, il referendum tra Repubblica e Monarchia, con i più alti consensi ravennati, ed ogni sforzo compiuto per la ricostruzione di un’Italia distrutta grazie ai dettami costituzionali e allo spirito di servizio di ogni famiglia”, sottolinea Mingozzi.