Il pollo romagnolo ora è Presidio Slow Food, salvato dall’estinzione oggi è un modello alternativo di allevamento

Curiosità

Anarchica, indipendente. Razzola dove pare a lei, si salva da sola da volpi e faine volando sugli alberi sui cui rami resta volentieri accovacciata. Trova da sé il proprio cibo e per questo le servono spazi aperti per muoversi, le gabbie e i recinti non fanno per lei, ha piume di tanti colori, bianche, nere, rossicce, e ogni esemplare è diverso dall'altro. Razza romagnola pura. Questo è il pollo romagnolo, ma preferiamo parlare di galline perché sono soprattutto queste che hanno sostenuto per lungo tempo le economie domestiche contadine fornendo non solo cibo per la casa ma anche materia di piccoli commerci delle azdore, che con la vendita delle uova all'epoca ci hanno sfamato, e a volte anche fatto studiare, i figli. Da oggi, questa razza autoctona è il diciannovesimo Presidio Slow Food dell'Emilia-Romagna.

Storia di un salvataggio

Nel 1997 ne avanzavano 50 esemplari posseduti da un anziano allevatore in provincia di Ravenna. Fu lui a mettere le sue galline e i suoi galli a disposizione della facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma affinché venisse avviato un programma di conservazione e ripopolamento della razza. In questo quarto di secolo abbondante si sono moltiplicati gli allevatori custodi in tutte le province romagnole più Imola, dove oggi sono ben tre gli allevatori di questo nuovo Presidio, il quarto è a Mercato Saraceno. Fino a poco tempo fa c’era un solo allevatore professionale, Stefano Tozzi di Mercato Saraceno, oggi si aggiungono a lui la Fattoria Romagnola e la giovane azienda agricola Semiselvatica in Valsellustra, quest'ultima alleva galline romagnole solo per le uova. Di Imola è anche Davide Montanari, da una ventina d’anni allevatore custode con l’associazione Arvar, che ha contribuito a selezionare la razza e a diffonderla e ora è responsabile del nuovo presidio.

Fino alla metà del secolo scorso questo pollo era una presenza fissa nell'aia romagnola, serviva innanzitutto per produrre uova, materia prima tra le più importanti della tradizione gastronomica, la sfoglia senza uova buone non si fa e le uova bianche della gallina romagnola sono particolarmente adatte, poi per la carne, sapida e saporita e, in alcuni casi, anche semplicemente a scopo ornamentale perché il piumaggio policromo rende bellissime anche le galline e non solo i galli.

«Nell’aia, il pollo romagnolo c’è sempre stato - ricorda Lia Cortesi di Slow Food Emilia-Romagna -. Una razza rustica, che ama stare all’aperto. Eppure, nel secondo dopoguerra, proprio la caratteristica che più lo contraddistingue, il bisogno di ampio spazio per procurarsi il cibo raspando tra i ciuffi d’erba e beccando le granaglie avanzate dalla mietitura, ne ha sancito la pressoché totale scomparsa: garantirgli lo spazio all’aperto era diventato, per chi ha preferito adottare un approccio industriale e intensivo all’allevamento, sconveniente e poco redditizio. Non solo: il pollo di razza romagnola è piuttosto lento a crescere e impiega fino a sei/otto mesi per raggiungere la massa che le razze commerciali toccano in cinquanta o sessanta giorni».

Un allevamento diverso

Oggi sono poco più di duemila i polli romagnoli che razzolano liberi in Romagna, si stimano tra i 500 e i 600 riproduttori. Un allevamento che nulla ha a che fare con quello industriale del pollo in batteria. Un'operazione sentimentale quindi quella di Slow Food? Il sentimento certo non manca, ma tutto il lavoro, che anche la Regione Emilia-Romagna ha sostenuto, è volto a proporre un modello di allevamento alternativo. «Come Slow Food esortiamo spesso a mangiare meno carne e a mangiarla di qualità, e questo vale anche per il settore avicolo - aggiunge Cortesi -. Quando sento dire indiscriminatamente che il pollo è sano, faccio presente che negli allevamenti industriali spesso vengono somministrati antibiotici agli animali e il benessere si misura esclusivamente nel numero di animali per metro quadro. C’è pollo e pollo, insomma, e come consumatori dobbiamo educarci alla scelta».

«Il pollo romagnolo è semplicemente incapace di adattarsi a un allevamento intensivo, mentre in un sistema estensivo si rivela vincente - spiega il veterinario Alessio Zanon, che si è occupato a lungo di questa -. L’allevamento di polli autoctoni dovrebbe essere salvaguardato, non visto in contrapposizione al sistema industriale. I due sistemi non sono in competizione: producono alimenti che provengono sì dalla stessa specie, ma che hanno caratteristiche gustative, salutistiche e qualitative completamente diverse».

«Il sostegno ai Presìdi Slow Food - ha commentato l'assessore regionale all'Agricoltura Alessio Mammi durante la presentazione del nuovo presidio -, capaci di creare cultura e identità, porta avanti un progetto che coinvolge le comunità locali e persegue obiettivi come salvare la biodiversità, tutelare gli ecosistemi e le risorse naturali, tutelare la salute dei consumatori e promuovere filiere eque dal punto di vista sociale. Da qui la scelta di investire risorse in contributi e investimenti per la tutela della biodiversità nell’ambito del Piano di sviluppo rurale promosso da Regione attraverso i finanziamenti europei e il sostegno ai Presidi Slow Food del nostro territorio».

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