Stefano Massini presenta a Forlì il suo libro su Aldo Moro
FORLI'. Dalle platee televisive del giovedì sera a Forlì: Stefano Massini, scrittore, drammaturgo e saggista che a Piazzapulita racconta il lavoro, il potere, in una parola: l’Italia, arriva a Forlì, all’Auditorium di Intesa Sanpaolo, oggi alle 17, ospite degli Incontri con l’autore della Fondazione Cassa dei Risparmi. Massini propone le sue storie “laterali” attraverso il libro 55 giorni. L’Italia senza Moro.
Un titolo che significa molte cose, e che nel 2018 ha fornito lo spunto a Luca Zingaretti per ricordare in modo diverso l’anniversario della morte di Moro su Rai 1.
«È vero… l’esperienza dei racconti a Piazzapulita mi ha confermato che per presentare la realtà non occorrono i massimi sistemi, ma narrazioni semplici, o metafore. Così, illustro un passaggio decisivo per il nostro Paese come il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, attraverso i contesti: il campionato di calcio, le canzoni, le pubblicità… un modo efficace e anche divertente, in senso alto, per fare il punto su una realtà fondamentale… dal buco della serratura».
Infatti la vicenda è presente, ma più come una traccia in filigrana.
«I temi importanti alla fine sono dettati da passioni, interessi… gusti, addirittura, comuni ai grandi e ai piccoli sistemi. Se ascolti la musica leggera, che parrebbe banale rispetto alla storia, vedi che ne condivide la visione della realtà: le storie piccole portano le orme di quella grande».
Nel libro sono tante le tracce che raccontano lo spirito dell’Italia dell’epoca.
«Alcune sono anche provocazioni o stimoli alla riflessione: un “basso” che ti costringe a farti domande sull’“alto”. Per esempio, oggi a Piero Angela non verrebbe in mente di dedicare una serata alla parapsicologia, ma nell’Italia del rapimento Moro successe: il tema era estremamente sentito, e la Dc dci trovò una buona scusa per spiegare come fosse emerso il nome di via Gradoli, quindi Prodi raccontò di una seduta spiritica fra docenti universitari, mentre si era trattato dell’indicazione dei gruppi bolognesi».
Parliamo di un’Italia recente, ma che pare lontana anni luce.
«Perché in pochissimo tempo è cambiato radicalmente il modo di vivere e interpretare la realtà: penso al web, alla comunicazione parcellizzata e individuale… cambiamenti che però non sono stati recepiti in modo così profondo e diffuso da permetterci di adeguarci. Ed è anche questo un obiettivo del libro: che attraverso le tracce delle canzoni, delle trasmissioni televisive, si riesca a decodificare un’epoca che, è vero, sembra lontanissima. Noi oggi viviamo nel mito dell’antipolitica, del rigetto preventivo ad essa, mentre allora vivere la politica in modo radicale poteva finire per insanguinare le strade. Oggi invece le bombe si mettono… sui social!».
Ma sarebbe cambiato qualcosa se nel 1978 ci fosse stato Facebook?
«Grazie a essi, si riesce a cogliere quasi in tempo reale dove va la pancia del Paese, cosa sentono e pensano le persone che si affacciano a quella finestra. Negli anni Settanta no, e così il libro è anche un espediente per capire attraverso prospettive diverse cosa la gente pensava e come quei fatti cambiarono le vite».
In “55 giorni” emerge stima per gli «uomini di idee» come Moro, Peppino Impastato, Franco Basaglia… ma è l’Italia a non uscirne granché bene.
«Non voglio tracimare dal mio ruolo di scrittore, che si limita a raccontare. Certo, quando di parla di quella Dc e della sua linea della fermezza, e poi si pensa al sequestro di Ciro Cirillo, beh, quei due pesi e due misure, qualche perplessità la fanno venire…».