Romanzi: "I Girasoli" di Marco Valeriani

Cultura

È uscito il romanzo d’esordio del giornalista riminese Marco Valeriani. Si intitola “I girasoli”, un libro che nasce dalla passione per la storia locale: la vicenda del fante Getulio Giuseppe Tamburini, che a soli venticinque anni parte da San Clemente per combattere al fronte durante la Grande guerra. Valeriani aveva già scritto sul soldato romagnolo nel 2018, l’anno del centenario della fine del conflitto. Per l’occasione si era imbattuto in numerosi documenti sui ragazzi della Valconca caduti al fronte. Da lì l’idea del romanzo. «Una volta terminato il lavoro su Tamburini, ho continuato le mie ricerche», spiega l’autore. «Ho trovato i documenti di annunciazione delle morti, le suppliche alle istituzioni laiche e religiose per far rilasciare i prigionieri, ho messo insieme tanto materiale. Poi, è bastato unire la storia alla mia fantasia». Così nelle pagine de “I girasoli” il lettore incontra il fante Adamo Bacchini, personaggio immaginario ispirato a Tamburini. Imprigionato in un lager tedesco all’indomani della disfatta di Caporetto, Adamo muore di tubercolosi, ma lascia un diario, che verrà scoperto dalla giovane Ada durante le sue vacanze estive a San Clemente, nella casa dei nonni.

Perché il titolo “I girasoli”?

«Il “mio” soldato era nato ad Agello di San Clemente, un borgo malatestiano dove in estate, specie in luglio, cresce una quantità inverosimile di girasoli. È un fiore tipico delle nostre zone, è semplice. I girasoli sono anche i fiori che vengono amorevolmente messi sotto il ritratto di Adamo dai parenti che vogliono ricordarlo».

“I girasoli” è la sua prima avventura nel mondo della narrativa.

«Ho iniziato a scrivere per gioco. Durante l’epidemia ho avuto il tempo per mettere insieme le idee, e così sono riuscito a completare il romanzo in sole otto settimane. È venuto giù come un fiume in piena».

Durante la stesura del romanzo, com’è stato il suo rapporto con la scrittura giornalistica?

«Il bagaglio acquisito in trent’anni di professione veniva prepotentemente fuori mentre scrivevo, sono stato portato a scrivere frasi molto brevi, questo cozzava con lo stile di una narrazione ariosa. Quando scrivi un romanzo sei portato a scrivere tantissimo. La cosa migliore invece è cercare di togliere, ripulire. Poi tutto è stato più naturale. Ho cercato di scrivere con un linguaggio semplice e accessibile, senza retorica. “I girasoli” è un romanzo su un soldato contadino, il linguaggio si doveva anche adattare alla realtà che raccontavo».

Nella nota dell’editore Ferdinando De Martino (L’Infernale Edizioni) si legge che il libro è «un piccolo toccasana per un periodo in cui si tende a negare perfino il presente. Guardare al passato con gli occhi di una giovane ragazza e delle sue speranze fa pensare che al mondo ci siano ancora scrittori volenterosi di prendere in mano la penna per raccontare la storia». C’è un insegnamento che si può trarre ancora oggi da un romanzo sulla Grande guerra?

«Spesso sui ragazzi di oggi diamo un giudizio troppo affrettato: non sono interessati a niente, non leggono, sono sempre davanti allo smartphone. Io invece penso che le giovani generazioni dimostrino una sensibilità che va solo risvegliata. Quando ho parlato del mio romanzo con i ragazzi delle scuole medie, rimanevano affascinati. E poi hanno la fortuna di avere molti più strumenti di una volta per approfondire. Sono dei grandissimi divoratori di informazioni. Io credo che far leggere un periodo così tragico attraverso gli occhi di una ragazza sia già dare un segnale di speranza».

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