Rimini, i tè danzanti di Bianca Iggius nelle sale di Ca’ Bianca

Cultura

RIMINI. Torniamo a parlare – come avevamo promesso – della villa sulla litoranea riminese, concepita alla stregua di un grande cottage alpino, acquistata da Teresio Borsalino intorno alla metà degli anni Trenta, dopo le nozze con Alessandra Drudi (si veda il Corriere Romagna di martedì 10 marzo 2020). Una storia intrigante, quella che ci apprestiamo a raccontare, che ha inizio nei primi anni del Novecento e che si impreziosisce delle vicende connesse alle persone che l’hanno abitata.
Il matrimonio tra il conte e l’attrice
Nel 1903 Carlo Aventi Roverella, conte di Sorrivoli e di Castelfalcino, sposa l’attrice di teatro Bianca Zampini (1869-1944), in arte Bianca Iggius. La coppia, assidua del lido di Rimini, dopo alcune stagioni trascorse nella villa Aventi – situata nei pressi della foce del torrente Ausa – si trasferisce in una abitazione sul viale litoraneo fatta erigere dal conte, su espresso desiderio della moglie. Una villa a cui è impresso il nome di Ca’ Bianca.
Della attività artistica di Bianca Iggius poco ci è pervenuto. Da una lettera manoscritta del 1900 – reperita dall’avvocato Alessandro Catrani, intraprendente collezionista e storico riminese, pubblicata nel 1902 da Il secolo XX. Rivista popolare illustrata edita da Treves – veniamo a conoscenza di alcuni aspetti della esuberante personalità dell’attrice: «Bianca Iggius è un curiosissimo tipo. A tratti le prende la smania di recitare sul serio; e allora la gaia donnina è tutta immersa in un’operosità senza pari. Studia, fatica, non vive che per il teatro e per l’applauso del pubblico. Ma poi si stanca e smette, per ripigliare più tardi. Ascolta solo gli inviti del suo giovanile e mutevole fervore. Quando recita trova modo di far nello stesso giorno innumerevoli cose; lunghe ore paziente alle prove; seria, zelante che par non viva che d’un sogno di teatro. Dopo la incontrate in charrette che guida un cavallino baldanzoso, tutta ridente, fresca, rosea; più tardi andrà in bicicletta o in automobile; poi dalla sarta, poi a teatro a recitare, poi a cena… Tutto quello che ella fa è un’espressione del suo caldo istinto di gioia. Adesso le è venuta la malinconica idea di andare a recitare in Ispagna, anche lei, come un Tommaso Salvini qualunque. Ama, talvolta, la bella Iggius di fare delle burle…».
Le favolose feste a Ca’ Bianca
Fermiamoci alle burle, dato che subito dopo il matrimonio Iggius si ritirerà dalle scene e, una volta divenuta contessa Aventi di Sorrivoli, dagli scherzi del palcoscenico passerà al chiacchiericcio della vita salottiera. E Ca’ Bianca diventerà il teatro delle sue feste da “Mille e una notte”.
Una di queste favolose serate, che registra la presenza dei nomi più altolocati della bagnatura, ci viene riferita dal Corriere Riminese del 25 febbraio 1914. «Gioia, sorrisi, amabili conversari – riporta il redattore del settimanale –, voci sottili, tenui di donne belle, cordialità squisita, signorile grazia di modi, tutto questo e ben altro ancora che la penna di un modesto cronista non sa rilevare, era Domenica sera nelle magnifiche sale di Ca’ Bianca, la villa meravigliosa del conte Aventi di Sorrivoli. Quivi era convenuto quanto di più squisito onora la femminilità cittadina. E la Contessa Bianca era fra tutti, sovrana di bellezza e di grazia, a tutti ugualmente prodiga della sua gentile bontà. Colla sua signora faceva gli onori di casa da gran gentiluomo il Conte Aventi unicamente alla graziosa signorina Maria Spadoni amica ed ospite. Alle sei fu servito un ricco buffet, poi si danzò con insolita animazione nella vasta hall della villa. Poche volte a Rimini abbiamo assistito ad una riunione più elegante, più affiatata, più lieta…».
Guerra del Quindici, tutto cambia
Nei quattro lunghi anni della Guerra del Quindici le porte e le persiane di Ca’ Bianca restano chiuse, ma subito dopo il conflitto si riaprono di nuovo per tornare a riproporre i consueti trattenimenti. I tempi, però, non sono più quelli spensierati di prima: non c’è lavoro e l’inflazione, che fa salire alle stelle i prezzi dei generi alimentari, rende agra la vita a tante persone e lo scontento che ne deriva non fa che alimentare lo scontro sociale. Un insieme si cose, insomma, che non concede più ai ricchi di ostentare il proprio benessere. E i due “tè danzanti” di Ca’ Bianca, programmati dalla contessa Aventi di Sorrivoli sul finire della stagione dei bagni del 1919, fanno scalpore e… rabbia. Tanta rabbia. La stampa riferisce «di musica travolgente, luce, fresche risate, sfarzo di toilettes e di gioielli»; racconta della presenza di principi, conti, marchesi, grandi ufficiali… tutti accompagnati dalle loro rispettive consorti con abiti di lusso e gran sfolgorio di diamanti e pietre preziose.
«Le danze – scrive il cronista in uno dei suoi reportage – iniziarono alle 22 e proseguirono animatissime fino ad ora tardissima». E come ciliegina sulla torta di questi due meeting … il solito «ricco e sontuoso buffet» (Corriere Riminese balneare, 10 e il 24 agosto e 7 settembre 1919).
Un rudere è ciò che oggi resta
Con il «ricco e sontuoso buffet» di Ca’ Bianca sigilliamo le vicende relative ai primi proprietari di questa villa. A chiusura dell’articolo, tuttavia, qualche parola sull’edificio è doveroso aggiungere. La villa fu progettata dall’architetto svizzero Paolito Somazzi (1873-1914) – nativo di Montevideo, ma residente a Lugano – durante il suo soggiorno riminese speso per seguire i lavori del Grand Hotel (1908) e della sede centrale della Cassa di Risparmio (1912). Intorno alla prima decade del secondo dopoguerra Ca’ Bianca, divenuta Villa Sandra, è venduta dagli eredi di Alessandra Borsalino. I nuovi proprietari non sanno che farsene della costruzione e la demoliscono. E oggi sulla sua area svetta l’Hotel Metropole. L’operazione edilizia risparmia la dependance, un tempo adibita a stalla per cavalli e a tana per animali domestici. Nel 1966 questo modesto chalet, che riproduce in piccolo le fattezze del “grande cottage alpino” del Somazzi, è preso in affitto dall’imprenditore riminese Piero Baldinini. Questi, una volta ristrutturato l’interno, lo adibisce a disco-bar con tanto di ballo e musica anche dal vivo. Il nome che il gestore imprime al locale è Tiffany’s, storica azienda americana di gioielli celebrata anche da Audrey Hepburn nel film Colazione da Tiffany. Con questa destinazione il piccolo chalet va avanti diversi anni, poi trasformato in discoteca con la denominazione di Rock Cafè prolunga la sua attività notturna fino agli anni Novanta. Dopodiché, abbandonata a se stessa, la casetta cade in disuso fino a divenire un rudere tanto desolante e indecoroso da creare disgusto al passante. Che, naturalmente, ignora la mitica storia delle sue origini.

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