«Dio santissimo hanno rubato i quadri, il Raffaello, i Piero della Francesca. Correte, fate qualcosa».
È la notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1975, tra la mezzanotte e le due. Dal Palazzo Ducale di Urbino spariscono i suoi massimi capolavori (spoiler: oggi sono di nuovo lì, tranquilli): sono La muta di Raffaello, la Flagellazione di Cristo e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca.
All’epoca i due custodi di Palazzo Ducale, scoperto il fattaccio durante un giro di perlustrazione (non c’erano altri sistemi di sorveglianza), disperati avevano dato l’allarme, ma troppo tardi. I tre quadri di inestimabile valore erano spariti, di loro e dei ladri invece nessuna traccia. Verranno recuperati diversi mesi dopo, il 23 marzo del 1976, a Locarno, in Svizzera, dopo un tentativo di richiesta di riscatto allo Stato. In carcere finì Elio Pazzaglia, pesarese riconosciuto responsabile del furto.
Tra i protagonisti di questa storia anche il riminese Maurizio Balena, antiquario assai noto in città, scomparso nel 2014. Fu contattato alcuni mesi dopo il furto con la richiesta di andare in Svizzera per autenticare i dipinti.
Il furto dei capolavori di Palazzo Ducale sarà al centro di un film documentario, in corso di realizzazione. Titolo: Il furto del secolo. Sarà diretto da Isabella Balestri, giovane regista torinese, e prodotto da Gabriella Manfré della Invisibile Film, casa di produzione con sede a Milano.
Nel progetto, sin dall’idea iniziale, sono coinvolti anche lo sceneggiatore Giorgio Lacroce e Leo Ferrari, figlio di Isabella e nipote di Maurizio Balena, ventisettenne diplomato alla Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano. Insieme alla sorella Tina, di pochi anni più giovane, sarà anche protagonista del film: saranno loro, i nipoti di Maurizio Balena – intorno alla cui figura ruota buona parte del documentario – un po’ nelle vesti di personaggi seppure nei loro panni reali, a condurre lo spettatore alla scoperta dei misteri e delle verità intorno a una vicenda incredibile – altro che il recente furto dei gioielli della corona al Louvre! –, per loro anche una storia di famiglia.
«Insieme a Isabella Balestri e Giorgio Lacroce abbiamo iniziato a pensare a un film su questa vicenda alcuni anni fa – racconta Leo Ferrari –. Condividiamo lo stesso percorso di studi di cinema a Milano e inizialmente volevamo farne un film di finzione. Poi ci è stato consigliato di farne un documentario che però avrà anche elementi di messa in scena e momenti di animazione a cura di Lucia Catalini. Il materiale che abbiamo raccolto è tanto. Abbiamo letto tutti gli atti processuali e intervistato i testimoni ancora in vita. Abbiamo poi soprattutto a disposizione circa quattro ore di registrazione, a oggi inedite, dell’intervista che Massimo Pulini fece a mio nonno Maurizio Balena dove lui racconta la sua versione dei fatti».
Mettere insieme i fatti e i reali contorni della vicenda non sembra però ancora oggi impresa facile. Il furto dei tre capolavori – raccontato finora con approcci diversi nei libri Il carabiniere e l’antiquario di Nevio Monaco, colonnello dell’Arma in pensione che contribuì al recupero, e dallo storico dell’arte Massimo Pulini nel suo Gli inestimabili (2011) – non poteva, prima o poi, che essere raccontato al cinema proprio per i suoi contorni incredibili e in parte misteriosi. Vagamente richiamano alla memoria La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini, il film con Alain Delon che in alcuni momenti si fa specchio di pratiche notturne “vitellonesche” legate anche al gioco d’azzardo e alle scommesse realmente in voga tra i Settanta e gli Ottanta tra Romagna e Marche.
Proprio da una scommessa fatta con alcuni amici nel mondo delle bische clandestine, prese infatti origine il furto dei capolavori urbinati. A farla fu Elio Pazzaglia, che per mettere in atto la sua impresa entrò di notte a Palazzo Ducale, con scarsi mezzi artigianali, con l’idea di rubare però solo La muta di Raffaello. Si portò via anche gli altri due capolavori senza neppure conoscerne il valore artistico né l’autore.
«Ci siamo resi conto – continua Leo Ferrari – che tutti i personaggi raccontano la storia in maniera diversa. Ognuno ha una propria memoria, un proprio punto di vista. Ognuno in qualche modo tira acqua al proprio mulino, anche mio nonno Maurizio. Non vogliamo esprimere giudizi ma mettere in evidenza i diversi punti di vista, gli intrecci tra verità e menzogna».
Impossibile, però, astrarsi del tutto dai legami familiari, dal legame con un nonno – l’antiquario-Mangiafuoco nella definizione azzeccata di Massimo Pulini – dalla personalità eccentrica, per certi versi ambigua.
«Il film è anche un racconto intimo, familiare – riferisce ancora il nipote dell’antiquario riminese –. Il mio rapporto con il nonno era molto stretto. Per me venire a Rimini, da piccolo, era venire dal nonno; abbiamo fatto insieme molte gite, anche per il suo lavoro. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo da grande, avrei molte cose in più da dirgli. Lo ricordo come un nonno molto generoso e che mi trattava quasi come un adulto, cosa che mi ha fatto sempre piacere».
Il film, in avanzata fase di realizzazione e previsto in uscita entro l’estate 2026, è finanziato anche attraverso una campagna di crowdfunding sul portale Produzioni dal basso.
Oggi alle 17.30 al Nud e Crud di Rimini si terrà un aperitivo di raccolta fondi alla presenza della regista, della produttrice e degli altri protagonisti del film, a partire naturalmente dai nipoti Leo e Tina.