Quando Basilico ritrasse la Scm: gli scatti al "Si fest"

Cultura

SAVIGNANO. Una visione attratta dall’industriale, dalle geometrie degli spazi lavorativi, che ha saputo indagare con curiosità partecipe, è il cuore pulsante della mostra “Scm Group at work! spazi e processi industriali raccontati da Gabriele Basilico”, prodotta da Scm Group e presentata a cura di Giovanna Calvenzi dal 18 settembre per il “Si fest 2020” alla Vecchia Pescheria (corso Vendemini 51, ingresso libero a tutte le mostre). Un talk sulla mostra con Andrea Aureli, amministratore delegato di Scm Group, Giovanna Calvenzi e Denis Curti si è tenuto il 20 settembre scorso.
Nel 1979, quando Gabriele Basilico realizzò questo servizio fotografico, il notissimo reporter milanese (1944-2013), aveva già prodotto diversi studi di architettura per alcune aziende italiane e per mensili come “Abitare” e “Casabella”. Da un anno aveva iniziato a lavorare al progetto di indagine sul territorio milanese dal titolo “Milano. Ritratti di fabbriche”, terminato nel 1980, destinato a diventare per lui un punto di partenza che lo portò negli anni successivi a essere coinvolto in nuovi impegni internazionali. Per l’azienda riminese, produttrice di macchine per la lavorazione di una vasta gamma di materiali e componenti industriali, realizzò un ampio reportage a colori in medio formato nel quale raccontò gli spazi e le lavorazioni, attento ai volumi architettonici ma anche a chi opera nelle diverse fasi della produzione.
Calvenzi, come si sviluppò e caratterizzò questo reportage per l’azienda riminese e come si collegò alla sua tipologia di lavori “industriali”?
‹‹Gabriele Basilico era un appassionato studioso del lavoro di Walker Evans e conosceva e ammirava l’opera di Bernd e Hilla Becher. Dalle loro “catalogazioni” di reperti industriali aveva avuto l’idea di censire le fabbriche milanesi. A proposito di questa esperienza, ricordando le condizioni atmosferiche particolarmente felici nelle quali aveva iniziato a “guardare” le fabbriche, nel 2012 Gabriele scriverà: “Ho potuto vedere così, come non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento quotidiano, senza le auto parcheggiate, senza gente e senza rumori. Ho visto l’architettura riproporsi nella sua essenza, filtrata dalla luce, in modo scenografico e monumentale”.
Perché il suo fu un ‹‹linguaggio documentario che rispetta e non interpreta››?
‹‹Come dicevo Gabriele Basilico amava molto il lavoro di Evans e il suo rispetto “oggettivo” per le situazioni che fotografava. Evans già negli anni Trenta aveva teorizzato l’utilizzo di un linguaggio che documenta e rispetta la realtà ed era una lezione che Basilico aveva fatta sua››.
In che maniera sapeva far sì, come in questo reportage, che la presenza umana contribuisse al fascino della scoperta dello spazio costruito?
‹‹Qui posso rispondere solo a titolo personale. L’attenzione di Gabriele Basilico è certamente concentrata sull’architettura della fabbrica. Non c’è, nelle sue immagini, una documentazione del lavoro ma si tratta piuttosto di un’indagine sui luoghi del lavoro nei quali gli uomini sono presenze che consentono di capire la misura dello spazio››.

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