Pietre miliari: Roxy Music - Roxy Music

Uscito nel 1972, “Roxy Music” finì per marchiare a fuoco l’intero decennio, sancendo, di fatto, la nascita di una nuova estetica. Con la loro musica (una musica dalle due anime, quelle del dandy Bryan Ferry e dell’alchimista Brian Eno…), i Roxy Music avviarono una rivoluzione di fondamentale importanza per l’evoluzione del rock. Nelle canzoni del gruppo inglese – che mescolava rock elettrico, jazz, musica contemporanea, rock’n’roll, elettronica - convivevano l’oltraggiosa spontaneità del rock degli anni Cinquanta e Sessanta e un approccio di stampo futurista. Brani come Re-Make/Re-Model, Chance Meeting, 2HB, Sea Breezes, soltanto per citarne alcuni, la cui architettura sonora poggiava su ritmi spezzati, chitarre distorte e “interventi schizoidi di sax e di sintetizzatori”. I Roxy Music non disdegnavano la cacofonia, infarcivano i loro pezzi di citazioni (riferimenti ai Beatles, a Richard Wagner, a Duane Eddy, a Sergej Prokofiev, al cinema), scrivevano testi spesso malinconici e introspettivi [vedi, ad esempio, If There Is Something: “Farei qualsiasi cosa per te / Arriverei ogni giorno / Nuoterei attraverso gli oceani azzurri / Camminerei mille miglia / Svelerei i miei segreti / Ne ho fin troppi da confidare / Incornicerei di rose la tua porta / Mi siederei in giardino / A coltivare un po’ di patate / Scuoti la testa / Con la coda di cavallo, ragazza / Mi riporta proprio indietro (a quando eri giovane) / Getta in aria i tuoi preziosi regali / Guardali cadere (quando eri giovane) / Il tuo amore – potevo percepire come li mettevi a terra / Veniva sempre deluso (quando eri giovane”]. Il tutto per regalare passione ed emotività ad un progetto sfaccettato e profondamente intellettualizzato, dove la grande capacità melodica di Ferry si andava a sposare con le “trovate” di uno sperimentatore innamorato del rumorismo e dell’elettronica come Eno.

Una parodia di vita dominata dallo stile camp, dall’esaltazione del kitsch, dalla sensualità prorompente e diretta, quella che veniva fuori da un album come “Roxy Music”, segnato in modo profondo dalla voce di Ferry, relativamente forte, dal timbro medio chiaro, ma con una buona dose di frequenze basse che gli donavano presenza e carattere (il cantante inglese ha sempre dimostrato di conoscere bene il suo strumento, alternando sapientemente vibrato e glissati per mantenere dinamica la resa vocale senza che nulla suonasse mai troppo forzato; il resto lo ha fatto la sua spiccata teatralità…).

Ci vorrebbero ancora pagine e pagine per analizzare al meglio questo disco dei Roxy Music, pieno di dettagli significativi. Basti pensare, solo per fare un esempio, al brano più corto di tutto l’album, Bitters End, la cui potente ironia si basava non solo sull’evocazione della vocalità doo-wop ma anche sull’uso aperto del giro armonico di un classico della canzone, Stand By Me. Ma forse, alla fine, sono sufficienti le parole di Andrea Silenzi, giornalista e critico musicale: “Coraggiosamente a cavallo tra passato e futuro, i Roxy, con il loro disco d’esordio, misero in piedi una sorta di farsa intellettuale, ricca di simbologie e di spinte individualiste, che frantumò in maniera definitiva il rigido schematismo ideologico della cultura hippie, che non prevedeva alcuna concessione alla sofisticazione e al culto dell’assurdo. Accanto a Eno e Ferry si muovevano musicisti di grandissimo spessore come Andy McKay, sassofonista di grande gusto musicale, Phil Manzanera, chitarrista di bassa estrazione sociale che finiva per regalare al gruppo l’energia e la rabbia tipiche della working-class, e il batterista Paul Thompson. Il miracolo-Roxy stava soprattutto nell’equilibrio delle parti e nella capacità di dar vita ad uno scenario che sembrava, già da allora, una indicazione programmatica del futuro del rock”.

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