Personaggi riminesi: l'impresa della bambina in bici nel 1906
Continuiamo con l’atletismo, che come abbiamo scritto nei precedenti articoli è uno dei fenomeni socio-culturali più coinvolgenti del Ventesimo secolo, addirittura sinonimo di progresso e di modernità. La nostra indagine, tuttavia, più che sulle attività agonistiche si indirizza sulle piccole notizie di cronaca – estrapolate dai vecchi giornali locali – che ci consentono di ficcare il naso nel costume dell’epoca. La vicenda che ci accingiamo a raccontare accade nel 1906 e riguarda una bambina riminese di 11 anni: Elda Bonini.
La fanciulla, che ha richiamato la nostra attenzione, non ha molti interessi comuni con le sue coetanee: alle bambole, ai garbati giochi femminili o alle riflessioni sulle sane letture adolescenziali preferisce la bicicletta. «Nulla di male», si potrebbe dire oggi. Ma a quei tempi la bicicletta, che ancora si continua a chiamare velocipede, è considerata un diversivo tutto maschile. Poche sono le donne che azzardano a “esibirsi” sulle due ruote: pedalare è un’azione sconveniente per una ragazza di buona famiglia. Le ingombranti sottane non solo impacciano i movimenti e fanno sorridere la gente, ma inducono anche molti benpensanti ad arricciare il naso e a domandarsi: «Dove andremo a finire di questo passo?».
Donna ciclista: un passo avanti
sulla strada dell’emancipazione
«Di sicuro molto lontano», ammiccano le suffragette di questo prezioso congegno della famiglia delle “locomobili”. Proprio così. La donna ciclista è un altro passo avanti sulla strada dell’emancipazione femminile, un’altra battaglia vinta nell’affermazione dei diritti; un ulteriore scossone a quella società arcaica tenacemente ancorata alle rigide convenzioni di una morale e di un ordinamento spudoratamente maschilisti.
A Elda Bonini, tuttavia, questi strani pensieri non passano per la mente e neppure a suo padre, Giovanni, un brav’uomo che riversa sulla figliola tutti i suoi entusiasmi sportivi non avendo avuto la “soddisfazione” di un primogenito maschio.
Bonini è semplicemente convinto che il nuovo mezzo di trasporto rappresenti il più grande anelito di libertà del Ventesimo secolo. Iscritto al Touring Club ciclistico dal 1895, è un autentico pioniere della bicicletta e le sue escursioni per i paesi della Romagna sono note a tutti i riminesi. In città è conosciuto anche per essersi battuto, nel 1895, a favore della «libera circolazione dei velocipedi». Quell’anno infatti, a causa dei continui incidenti provocati dai primi spericolati «amanti del brivido e dell’equilibrio», c’era chi, per tutelare l’incolumità dei pedoni, pretendeva di vietare il transito a questi «mostri del progresso tecnologico» in alcune strade del centro storico e della marina (Atti del Consiglio comunale di Rimini, 11 maggio 1895).
La polemica sulle due ruote e sui rischi che correvano i passanti assumeva in quegli anni tonalità talmente grottesche da indurre il Municipio a occuparsene. L’argomento era trattato in diverse sedute di Consiglio comunale e il 15 aprile 1895 la Giunta amministrativa arrivava persino a emanare il Regolamento per la circolazione dei velocipedi. Ne scaturiva una normativa favorevole a quanti come Bonini propugnavano la tesi della «libera circolazione in libera strada», ma concedeva il “privilegio” del transito solo ai «biciclettisti» in regola con il pagamento della tassa comunale e in possesso di patente di guida. Un documento, questo, che veniva rilasciato da una «commissione di esperti» dopo un accurato esame pratico, da effettuarsi nelle logge dei palazzi comunali e in piazza Cavour.
Il raid Bologna-Rimini
della fanciulla riminese
Bonini, in seguito a questa vittoria del «progresso tecnologico», consolidava l’amore per le due ruote inculcando anche alla figlia la sua stessa passione. Elda, infatti, dopo aver imparato a pedalare all’età di 8 anni – nel 1903, all’epoca del primo Giro ciclistico di Francia – accompagnava sempre più spesso il padre nelle periodiche uscite in bicicletta diventando un’autentica atleta della pedalata, pronta e disponibile per imprese memorabili.
E così, sul finire dell’estate 1906, Giovanni decide di far compiere alla figlia il “raid” Bologna-Rimini. Ritenendo questa “pensata” di pubblico interesse – siamo in un periodo di spettacolari record sportivi – comunica il giorno, l’ora, il luogo della partenza e l’itinerario non solo a parenti e amici, ma anche alla stampa.
Il “raid” riesce, ma non ha molta risonanza: pochi i curiosi e alcuni persino contrariati dall’«assurda faticaccia» imposta a una undicenne. Dei giornali di casa solo La Riscossa, il 22 settembre 1906, riferisce la «storica pedalata»: in un piccolo trafiletto di cronaca, confuso tra le notizie cittadine, troviamo le congratulazioni alla «robusta fanciulla» per il felice esito della prova.