Paolo Jannacci, Enzo Gentile - Ecco tutto qui

A dieci anni dalla scomparsa, Enzo Jannacci si può considerare, ancora oggi, un ineludibile punto di riferimento per il mondo dello spettacolo e non solo. Lo conferma, una volta di più, questo libro edito dalla casa editrice Hoepli, scritto a quattro mani dal figlio Paolo e dal critico musicale Enzo Gentile. “Ecco tutto qui” - che parte dagli anni Cinquanta e arriva fino al passo d’addio del 2013 - ritrae il cantautore milanese come testimone del suo tempo, in un mosaico gioioso e tragicomico insieme, tra musica e medicina, teatro e televisione, cinema e cabaret. Un caleidoscopio che sfugge ad ogni simmetria, dal quale emerge soprattutto la bellezza delle canzoni, delle “poesie”, legate a un momento di vita. Brani come El Portava I Scarp Del Tennis, Faceva Il Palo, Vincenzina E La Fabbrica, Vengo Anch’Io. No, Tu No, Ci Vuole Orecchio, Silvano, Ho Visto Un Re, Quelli Che… (un pezzo che si presta a essere smontato e rimontato a piacere, togliendo e aggiungendo frasi in modo da renderlo intramontabile), Sogno Come Mafia, L’Armando, solo per citarne alcuni, la cui valenza espressiva si concentrava nell’approccio multistilistico; in un mélos che esplicava tutto il suo potenziale comunicativo e semantico; nei toni da cabaret; “in un fumo di parole apparentemente senza senso nel quale però ne spiccava una che, come una scintilla, infiammava gli animi e indicava una via di lettura della sua e della nostra soggettività”, per dirla con le parole di Paolo Jannacci [“E la bobina continua a girare / Sì ma la base va avanti anche da sola / E noi che abbiamo tutta la voce in gola / Ma con l’orchestra non si può inventare / E col sequencer non ci si può fermare / Non si può sbagliare perché… / Perché ci vuole orecchio / Bisogna avere il pacco / Immerso dentro al secchio / Bisogna averlo tutto / Anzi parecchio / Per fare certe cose / Ci vuole orecchio” (Ci Vuole Orecchio); “Guarda quanta poca luce, sì! / E dopo piangi come fosse un sogno, sì! / E dopo sogno come mafia, sì! / E allora meglio chiedere perdono, sì! / Già! Ma quando l’uccellino canterà / Film di propaganda e varietà / Canta ma non canta sol per te / Lui canta solamente per amore” (Sogno Come Mafia); “Rino, non riconosco gli aneddoti / E schiodami, spostami tutte le efelidi / Aprimi, picchiami solo negli angoli / Brivido, no non distinguo più i datteri / Silvano e non valevole Ciccioli / Silvano mi hai lasciato sporcandomi / E la gira la gira la ruota la gira / E la gira la gira la ruota la gira / E la storia del nostro impossibile amore / Continua anche senza di te” (Silvano); “Commissario, sa l’Armando mi picchiava col martello / Mi picchiava qui sugli occhi per sembrare lui il più bello / Per far ridere gli amici, mi buttava giù dal ponte / Ma per non bagnarmi tutto mi buttava dov’è asciutto / Ma che dice, che l’han trovato / Denudato, senza scarpe, già sbarbato? / Ma che dice, che gli han trovato / Un coltello con la lama di sei dita nel costato?” (L’Armando)].
Maestro dell’apparente svagatezza, abile nel riuscire a farsi capire per allusioni attraverso l’assurdo, Jannacci è sempre stato artefice di un modello di canzone che non ha mai dimenticato l’ironia e la forza della risata, con il piglio di chi aveva anche cose serissime da dire ma sceglieva di dirle seguendo la via della satira agrodolce, mescolando amarezza e umorismo, nonsense e struggente poeticità. Il tutto reso con quella voce che fu tra i primi motori in Italia dell’allontanamento della prassi vocale dalle levigatezze della musica leggera precedente gli anni Sessanta e che ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione del costume canoro (a cui contribuirono anche Celentano e gli urlatori…).
“Enzo Jannacci - ha scritto Gino Castaldo - era un lucido giullare, surreale come un saltimbanco dall’istinto dadaista e affilato come una spada satirica. Ha dato vita, nelle sue canzoni, ad una galleria di personaggi indimenticabili e, alla fine, talmente assurdi da essere veri più del vero”.