Paolo Conte alla Scala. Il maestro è nell’anima

Cultura

Paolo Conte, nei suoi dischi, ha manifestato una vena che si è tradotta in un elegante e originale esercizio di immaginazione poetica, tanto che uno scrittore come Vincenzo Cerami lo ha definito “la più importante voce lirica dei nostri tempi”. Creatore di un universo fatto di memorie, calembour, bisticci, sogni disperati e aromi di dancing fuori uso.

Questo album documenta il primo e unico live di Conte al Teatro alla Scala e contiene alcuni dei suoi brani più celebri - canzoni come, soltanto per citarne qualcuna, Aguaplano, Sotto Le Stelle Del Jazz, Alle Prese Con Una Verde Milonga, Gli Impermeabili, Via Con Me. Un evento storico e irripetibile, perché per la prima volta in 250 anni il teatro milanese ha ospitato il concerto di un autore legato alla canzone popolare.

In “Paolo Conte alla Scala. Il maestro è nell’anima” ogni fattore - un ritmo, un motivo, un preziosismo - è segno di una cura per il dettaglio e per quanto dai dettagli promana. Il concerto è attraversato da varie suggestioni musicali (nell’opera di Conte è possibile rinvenire, qua e là, qualche traccia di Duke Ellington, Earl Hines, Armando Gill, Gorni Kramer, Virgilio Ranzato, Georges Brassens, Renato Carosone, Franz Lehár...) che però il musicista di Asti rielabora all’interno di una tessitura alquanto personale: cantabili imprevisti, sequenze armoniche inaudite per un contesto come quello rappresentato dalla canzone, cadenze inaspettate, deviazioni ritmiche. Il tutto innervato da un pianismo “impuro” e da “una voce torrefatta e porosa”, la cui intonazione è svagata.

“Le canzoni di Paolo Conte - ha scritto Nicola Piovani - sono sornionamente equivoche, dotate di testi strepitosi [‘Quelle bambine bionde / Con quegli anellini alle orecchie / Tutte spose che partoriranno / Uomini grossi come alberi / Che quando cercherai di convincerli / Allora lo vedi che sono proprio di legno / Diavolo rosso, dimentica la strada / Vieni qui con noi a bere un’aranciata / Controluce tutto il tempo se ne va’ (Diavolo Rosso); ‘Per vederlo dirigere / Con la perfidia che scudiscia ogni viltà / Il maestro è nell’anima / E dentro all’anima per sempre resterà / Il maestro è nell’anima / E dentro all’anima per sempre resterà / Viva lei, bella e martire / Che tutto quello che le chiede gli darà / Chiusa nel golfo mistico / Che ribolle di tempesta e libertà / Il maestro è nell’anima / E dentro all’anima per sempre resterà’ (Il Maestro); ‘Max era Max / Più tranquillo che mai / La sua lucidità / Smettila Max / La tua facilità / Non semplifica, Max / Max, non si spiega / Fammi scendere, Max / Vedo un segreto avvicinarsi qui, Max’, (Max), n.d.r.] che a volte ingannano l’ascolto e possono far pensare a poesie che abbiano cercato melodie su cui poggiarsi. A me sembra, invece, che la scintilla di partenza di queste brevi composizioni sia sempre un’intuizione musicale - una cellula armonica, un ritmo obliquo, una cadenza fuori contesto, un colore orchestrale incongruo - e ho la convinzione che sia quella scintilla a suggerire poi storie fantastiche, con i personaggi che le abitano, le trasgressioni liriche dei versi”.

Brani, si può aggiungere, la cui attrattiva è la stessa che potrebbe avere un negozio di rigattiere con all’interno dei “pezzi” delicati e rari, ormai dimenticati dalla società dei consumi: frugando si possono scovare, in queste canzoni, i frammenti dispersi della nostra identità.

“Lo chansonnier piemontese le sue storie se le inventa e altrettanto, alla fine, s’inventa il suo jazz, i viaggi e i paesaggi, le milonghe e le baiadere, Meglio ancora: reinventa vecchie invenzioni, immaginario d’antan, e le rende più vere del vero, vivendole in voce” (Gianfranco Salvatore).

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