Lina Scarpati Manotas: «Scrivo sulla violenza trasversale alle donne»

Cultura
  • 19 maggio 2025

Diversità è il titolo della nuova edizione de I dialetti nelle valli del mondo, spettacolo di musica, poesia, pensieri di culture diverse, creato e diretto da Rosana Crispim Da Costa, poeta e regista italo-brasiliana da sempre attenta ai temi dell’interculturalità, in scena sabato 17 alle 20 al teatro Mariani (ingresso libero).

«La diversità culturale – dice Da Costa – è fonte di vita, ciò che ci rende diversi ci unisce, come la capacità di fondere la poesia, la forza delle parole, la seduzione delle note».

In scena poeti di origine straniera che scrivono in italiano e poeti e poete italiani che scrivono in dialetto: Gilberto Grazia, Veronica Bugli, Lisa Bortolato, Antonio Salvatori, Lina Scarpati Mantas, con la partecipazione dei musicisti Paolo Montebelli e Pierluigi Vicini, delle cantanti Raffaele Cappelli e ChiaraBlue, del bassista Cristiano Sartini. Lettori: Nando Piccari , Marco Albonetti, Antonella Valli. Una produzione Stephan e Jutta Jager, Mostra fotografica di Giampiero Bianchi.

Lina Scarpati Manotas, colombiana, poeta e giornalista, è autrice di articoli e reportage di politica internazionale, femminismo e cultura in diversi ambiti, dalla produzione di documentari alla comunicazione aziendale. Fa parte dello storico Gruppo ’98 Poesia, collettivo bolognese di poete femministe, dove ricerca e scrive sulla visione interculturale della donna immigrata e sul ruolo e le lotte della donna nella società italiana.

Ha recentemente pubblicato per Puntoacapo Parole radicate, che penetrano profondamente nel lettore, come negli organismi viventi del mondo vegetale e gli animali primordiali e totemici che abitano la raccolta.

Scarpati, occupandosi di temi come quelli del ruolo e della violenza sulle donne ha voluto far proprio il motto gramsciano: «Pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà». Perché?

«La poesia è per me impegno, la considero vuota se disgiunta da un impegno sociale. Il pensiero entra nella mia poesia in modo chiaro e conciso, non aggressivo come un certo pensiero intellettuale odierno e iperbolizzato. Importante è che possa giungere il messaggio, senza artifici, che divengano stereotipi o giudizi. La mia poesia intorno alla violenza alle donne non fa riferimento solo a casi conclamati come quelli di Saman Abbas o Giulia Cecchettin, ma ad altri casi che colpiscono le donne trasversalmente e diventano microstorie: per età, abusi sul posto di lavoro e di potere. Lottare per non cedere il passo».

Perché queste «parole radicate» sono simboleggiate da animali totem come l’armadillo?

«Sono quelle parole poetiche, letterarie, del fare, dell’interculturalità, che germinano ogni giorno come dalla terra».

Come si pone la scrittura delle donne migranti, quale ricerca di dialogo e integrazione fra culture diverse?

«Sono di origine colombiana, figlia di una diaspora avvenuta nel Novecento. Da italiana della terza generazione di migranti sento germinare quanto proveniva dalla terra dei mie avi e che mi porto dentro come patrimonio genetico e di esperienza. È quello che definisco la motxchila, termine della lingua euschera del nord della Spagna , ovvero “il bagaglio” della propria identità. È una spirale che collega le origini alla propria quotidianità, e crea sviluppo e creatività. Le statistiche dicono che le donne immigrate leggono anche di più delle italiane, ma restano legate all’immagine della badante, della titolarità di lavori precari. Scrivono però di temi che non sono solo quelli legati alla propria cultura, il segno di un’avvenuta integrazione nella società italiana. Spero comunque che con la generazione successiva non venga meno nella scrittura la presenza dei segni di una provenienza identitaria».

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