Libro: Georges Simenon - Il dottor Bergelon
La vita del dottor Bergelon, un tranquillo medico di provincia, subisce un vero e proprio stravolgimento dal giorno in cui accetta di mandare una sua paziente a partorire presso la clinica privata del dottor Mandalin. La donna ha delle complicanze durante il parto e quando Mandalin e Bergelon, completamente ubriachi, corrono in clinica, l’intervento finisce in tragedia: la puerpera e il nascituro muoiono. Il vedovo, Jean Cosson, non si dà pace e comincia a perseguitare il dottor Bergelon con continue minacce di morte…
“Il dottor Bergelon”, pubblicato per la prima volta nel 1941 e riproposto ora dalla casa editrice Adelphi, è uno di quei “romans durs” in cui il creatore di Maigret diventa grande scrittore, forte della sua propensione a scrutare, in profondità, i moti dell’animo umano, arrivando all’essenza di un’umanità fragile e incostante. Romanzi, quelli dello scrittore belga, che ci raccontano la crisi dell’uomo comune, attraverso la costruzione di personaggi che, a partire da un vissuto anonimo, vengono di colpo proiettati all’interno di una situazione totalmente nuova, capace di trasportarli fino al fondo di una tragica e sconcertante condizione. Il tutto grazie ad una miscela sapiente d’investigazione psicologica e d’intuizione climatica e ad un uso della lingua che si fa concreto, privo di orpelli e in grado di rivelare la propria semplicità “artificiosa”.
<<Non c’era bisogno di essere medico per fare quella diagnosi: Bergelon aveva i postumi di una sbornia. La cosa non era sgradevole in sé, soprattutto finché se ne stava a letto. Sudando come sudava, gli sembrava che tutta la sua fatica, tutto ciò che di turpe aveva dentro gli uscissero lentamente dalla pelle. Senza contare quella specie di prurito da ferita che si cicatrizza...
Di lì a poco, quando si fosse alzato, non sarebbe più stato così. Avrebbe avuto un gran mal di testa, si sarebbe sentito confuso. Anche se non gli dispiaceva quella sorta di vaghezza, né i pensieri dolceamari che la accompagnavano: non è male, di tanto in tanto, lasciarsi prendere un po’ dalla malinconia. Istintivamente, tastò il posto accanto a sé nel letto e seppe così, senza aprire gli occhi, che Germaine si era alzata. Era l’inevitabile pecca della situazione. Non gli avrebbe mosso rimproveri, ma sarebbe stata triste tutto il giorno. Triste e dolce, il che era peggio.
E lui, già lo sapeva, non avrebbe potuto fare a meno di mormorare:
“Ieri sera devo aver bevuto un po’ troppo...”.
Gesto vago di lei, come di rassegnazione:
“Non importa...”
Il che non avrebbe impedito a Bergelon di girarle intorno, di spiegarsi, di cercare di dimostrarle che non era colpa sua, che tutto sommato era piuttosto un bene...
Sempre con gli occhi chiusi, aggrottò le sopracciglia. Una mosca gli si era posata sul naso. La finestra era aperta. Il sole inondava la stanza e la strada era deserta. Conosceva quell’atmosfera. Non si sentivano né la trombetta dell’erbivendolo né l’aprirsi e il richiudersi delle porte al passaggio di chi andava al lavoro, per lo più impiegati. Inoltre, le campane annunciavano una messa: era domenica. Germaine era appena rientrata e si stava togliendo il cappotto in corridoio. Tornava dalla funzione delle sette a Saint-Nicolas, dove aveva fatto anche la comunione. Porte che sbattevano, scarpe chiodate che raschiavano il legno dei gradini delle scale: di sicuro Émile andava al raduno degli scout, mentre sua sorella si sarebbe chiusa in bagno per un’ora buona. Probabilmente il ragazzo esitava a svegliare il padre per chiedergli il supplemento domenicale della paghetta che questi gli dava all’insaputa della madre. Germaine stava preparando la tavola. L’acqua bolliva sul fornello a gas perché, nelle domeniche d’estate, si faceva a meno di accendere il fuoco. Ed ecco che, a un tratto, Bergelon sentì come una fitta e fu proprio con quella fitta quasi impercettibile che cominciò tutto. Esattamente come capita a certi malati>>.
“Se la vita - ha scritto Sabina Minardi - è un abito troppo stretto, non resta che sfilarlo: Simenon ci ha mostrato molte volte la fatica per essere ciò che non si è. E pazienza se, alla fine, il bisogno di cambiamento mette in moto conseguenze impreviste, come quelle del giovane medico protagonista de ‘Il dottor Bergelon’. Sbornie, giardini di fiori colorati, un intervento che va storto, un’attrazione irresistibile per la morte. E tutte le regole di una vita tranquilla infrante una dopo l’altra”.