Libri: Georges Simenon - Le sorelle Lacroix

Cultura

“Ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio”, scrive Georges Simenon in epigrafe a questo romanzo ambientato in una cittadina normanna nel territorio del Calvados. Protagoniste della storia, le due sorelle del titolo, figlie di notaio. Entrambe sposate. Il marito di una delle due, è anche l’amante dell’altra. Il collante che le tiene unite è unicamente l’odio, un odio così spesso, pesante, “materico”, da immergere la solida dimora borghese di Bayeux, dove le sorelle vivono con i propri familiari, in un’atmosfera intossicata da rancori e sospetti.

“Le sorelle Lacroix” - pubblicato per la prima volta nel 1938 e ora riproposto dalla casa editrice Adelphi, che continua a portare in italiano l’integrale della produzione simenoniana - è uno di quei “romans durs” in cui il creatore di Maigret diventa grande scrittore, forte della sua propensione a scrutare, in profondità, i moti dell’animo umano, arrivando all’essenza di un’umanità fragile e incostante. Lo scrittore belga ci racconta la crisi dell’uomo comune, attraverso la costruzione di personaggi trasportati al fondo di una tragica e sconcertante condizione. Il tutto grazie ad una miscela sapiente d’investigazione psicologica e d’intuizione climatica e ad un uso della lingua che si fa concreto, privo di orpelli e in grado di rivelare la propria semplicità “artificiosa”.

<<Non perdeva il conto, arrivò a quindicimila, poi a ventiduemila, giorni di indulgenza.
Avrebbe potuto dire:
Sacro cuore di Gesù…”.

E avrebbe guadagnato altri giorni, non ricordava quanti, forse di più. Ma fra tutte le invocazioni quella che preferiva era:
Gesù, Giuseppe e Maria…”.
A tratti sentiva le voci dei medici che discutevano nello studio: sembravano lontanissime, più irreali delle indulgenze che continuavano ad accumularsi, riempiendo a poco a poco la stanza, meno reali dei baffi e dei pomelli di suo padre.

Sì, perché appena si metteva a pregare, subito lui le appariva, sempre nello stesso angolo, poco sotto il soffitto. Era in Purgatorio, Geneviève non cercava di capirne il motivo. Né cercava di capire perché adesso era lui a tenere la testa inclinata verso sinistra, come di solito faceva Mathilde.

I lineamenti erano sfocati. Viève aveva fatto di tutto per ricostruirli in ogni dettaglio, ma non ci era riuscita. Di nitido, di vivo, c’erano solo i baffi, più setosi che mai e leggermente all’ingiù, e appena sopra dei pomelli di un rosso acceso e gli occhi, o meglio uno sguardo malinconico, perché in realtà gli occhi non riusciva a distinguerli.

Gesù, Giuseppe e Maria…”.

Il merlo fischiava. Il sole aveva raggiunto l’angolo dello specchio. Il 25 maggio era ancora lontano, e Geneviève aveva il tempo di accumulare indulgenze su indulgenze, centinaia, migliaia di anni di purgatorio, e intanto l’Orco, al piano di sotto, sentenziava:
Non c’è niente da fare. Non ‘vuole’ guarire”.

Mentre parlava osservava l’ambiente intorno a sé, poi i suoi occhi si posarono di nuovo sulle tre figure in lutto e per poco non aggiunse:
Forse non ha tutti i torti!”.

In ogni caso fu con gran piacere che, fissando Poldine con tutta la sua ferocia, scandì:
Sono duemila franchi!”>>.

Nei romanzi di Simenon, e “Le sorelle Lacroix” ne dà un’ulteriore conferma, prevale sempre un intreccio di sentimenti che tendono a confondersi: ostilità, gelosie, livori, rivalità che quasi mai raggiungono il livello della comunicazione verbale e dunque, come pure sarebbe possibile, non trovano una risoluzione.

“In questo libro c’è un tentativo di avvelenamento, c’è una giovane donna che si lascia lentamente morire. Eventi tragici, però insufficienti a spezzare la plumbea cappa di quell’atroce convivenza nella quale non solo i protagonisti ma lo stesso lettore si trova invischiato con una strana doppia sensazione di rifiuto e di fascino. Basterebbe questo, alla fine, a dare la misura del capolavoro” (Corrado Augias).

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