Libri: Georges Simenon - Delitto impunito

Élie, originario di Vilnius, è uno studente povero che alloggia nella scalcinata pensione di Madame Lange. Occupa una stanza che non può permettersi di riscaldare, mangia pochissimo, esce di rado, non ha amici. Un giorno arriva alla pensione Michel, ebreo anche lui, ma all’opposto di Élie, bello, ricco, sicuro di sé. Per Michel, convinto com’è che tutti debbano amarlo, non è difficile sedurre Louise, figlia della proprietaria, nella cui schiva presenza Élie ha sempre trovato “un che di dolce, di rassicurante”. Motivato da quello che lui stesso definisce “senso di giustizia”, lo studente decide di assassinare Michel, che considera un intruso venuto a sconvolgere il suo quieto universo. Si arma di una pistola, gli tende un agguato e lo uccide. O almeno così crede...

“Delitto impunito” - pubblicato per la prima volta nel 1954 e ora riproposto dalla casa editrice Adelphi, che continua a portare in italiano l’integrale della produzione simenoniana - è uno di quei “romans durs” in cui il creatore di Maigret diventa grande scrittore, forte della sua propensione a scrutare, in profondità, i moti dell’animo umano, arrivando all’essenza di un’umanità fragile e incostante. Lo scrittore belga ci racconta la crisi dell’uomo comune, attraverso la costruzione di personaggi trasportati al fondo di una tragica e sconcertante condizione. Il tutto grazie ad una miscela sapiente d’investigazione psicologica e d’intuizione climatica e ad un uso della lingua che si fa concreto, privo di orpelli e in grado di rivelare la propria semplicità “artificiosa”.

A Vilnius non aveva mai provato quella sensazione di pace e di sicurezza. Il brulichio della gente del suo quartiere, nel suo ambiente, aveva un carattere aspro e violento, a ogni passo si avvertiva la lotta per la sopravvivenza, i bambini, per strada, avevano già uno sguardo da vecchi e a cinque anni le bambine smettevano di giocare con le bambole. D’inverno, in quei lunghi inverni che duravano sei mesi e più, si vedevano ragazzini sguazzare a piedi nudi nella neve, e a casa sua capitava che tra fratelli si litigasse per un paio di stivali.

Adesso che era lontano, tutto gli appariva come un tumulto implacabile, le persone simili a insetti obbligati a divorarsi a vicenda per sopravvivere.

Era per via di quei mesi di neve e tormente che era così freddoloso e passava ore con i piedi dentro il forno.

Era per via di quel tumulto che se ne stava rintanato in casa della signora Lange come se avesse trovato finalmente un rifugio.

Louise aveva la pelle lattea e morbida, lo sguardo mite, rassegnato. Si muoveva senza fare rumore e sembrava accorgersi a malapena della vita che le scorreva intorno.

Un giorno che Élie aveva la febbre gli aveva posato una mano sulla fronte e lui non ricordava di aver mai provato una simile sensazione di pace.

Inseguiva una specie di sogno infantile: una volta diventato professore avrebbe continuato a vivere in quella casa e Louise si sarebbe presa cura di lui. Non pensava a lei come a una moglie, ma semplicemente come a una compagna. Lui avrebbe continuato a mettersi con i suoi libri al medesimo posto, vicino alle pentole che sobbollivano e alle braci incandescenti che di tanto in tanto cadevano dalla grata della stufa.

Stan Malevitz e la signorina Lola non avevano mai rappresentato una minaccia. Erano un po’ come pezzi di arredamento in quella casa dove Michel, invece, aveva fatto irruzione come un nemico. Élie aveva voglia di fargli male. In certi momenti avrebbe voluto spingerlo ad andarsene, in altri gli sembrava che anche lui fosse diventato indispensabile”.

Nei romanzi di Simenon, e “Delitto impunito” ne dà un’ulteriore conferma, prevale sempre un intreccio di sentimenti che tendono a confondersi: ostilità, gelosie, livori, rivalità che quasi mai raggiungono il livello della comunicazione verbale e dunque, come pure sarebbe possibile, non trovano una risoluzione.

<<“Delitto impunito” è uno di quei romanzi senza Maigret nei quali Simenon dà il meglio di sé. In questo caso, il virtuosismo è doppio; il racconto è diviso quasi esattamente a metà: nella prima siamo a Liegi, nella seconda in uno sperduto villaggio minerario dell’Arizona. Ho detto virtuosismo perché la bipartizione, alla fine, serve all’autore per costruire una doppia, magistrale suspense, nella seconda parte ancora più efficace che nella prima>> (Corrado Augias).

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