Il racconto di Stefano Bon: "La vita senza Matty"

Cultura

Fabio andò in salotto a meditare, mentre sua moglie iniziava, in silenzio, la sua implacabile opera di pulizia. Lui era in subbuglio; aveva bisogno di parlare perché i suoi pensieri da qualche giorno galoppavano e non riusciva a capire da dove venissero e, ancor più, dove fossero diretti.
Dopo tanti mesi di grigia e dolorosa routine gli era tornata una smania di vivere e sapeva che comunicarlo a sua moglie sarebbe stata l’impresa più difficile in assoluto.
Fabio già da un po’ si sentiva diverso e non come capita spesso di dire agli altri o di raccontare a sé stessi «sono diverso», solo per tentare di far effetto sulla propria anima e tentare risvegliarla.
Lui credeva proprio che la vita non fosse una sola, non perché ce n’è un’altra, eterna, come dicono i preti, ma perché questa vita, l’unica nostra vita, non è mai la stessa. Cambia.
Cambia due o tre volte, oppure cambia ogni anno, o cambia quando finisce la scuola, o quando ti sposi, o cambia quando ti nasce un figlio, oppure quando ti muore, un figlio.
Fabio credeva che dopo tanto dolore, dovesse arrivare un periodo altrettanto lungo di felicità.
Fabio ci credeva, ma Anita, sua moglie, no.
Eccola là tutti i giorni, alle prese con le faccende di casa, puntualmente, precisamente, maniacalmente; eccola a fare la spesa, gentile con tutti e tutti gentili con lei, povera donna; eccola a tavola con suo marito a raccontarsi cose per cui non prova il minimo interesse.
Così mentre erano in cucina, Fabio saltò su dicendo: «Ho voglia di fare una passeggiata al mare».
Sua moglie era girata di spalle e stava spazzando, si fermò un attimo, poi riprese il suo lavoro, solo un po’ più rapida.
«Vai pure, se vuoi» il massimo della reazione possibile da parte di Anita.
A lui non bastava, voleva inseguirla e stanarla.
«Non da solo. Io e te, come ai…»
Ci sono parole che non si possono usare, mai.
Sostantivo e aggettivo, o viceversa non cambia: «vecchio amico», «mitici anni», «dolce compagna», «coppia felice», ma soprattutto «bei tempi».
Un abisso di cattivo gusto, in cui lui sprofondò.
Anita si girò e non le bastò nemmeno tutto lo sguardo, solo una molecola di quel fulmine scaturito dai suoi occhi gelidi.
Fabio si alzò, oramai aveva smarrito tutta la sua sicurezza, si diresse in cantina con l’idea che aveva da tempo di metterla in ordine e, soprattutto, inghiottire l’ennesimo boccone amaro in solitudine.
Davanti alla porta però provò attimi di terrore; non ci andava quasi mai, se obbligato faceva rapidamente, ma era il momento giusto per trovare un nuovo coraggio.
Aspettò ancora, poi di colpo spalancò e accese la luce.
Lì per lì non gli fece nessun effetto, era una cantina come tutte le altre, con il solito caos.
Fabio però sapeva che il mostro si nascondeva in un angolo, sotto un telone.
Afferrò un lembo e tirò con forza, la polvere gli invase le narici, mentre un liquido acido iniziò a farsi strada dallo stomaco.
Vide un letto da bimbo con dentro un seggiolone piegato e alcune grandi palle colorate, a fianco c’era un piccolo box con una bella gru di plastica e un canestro da basket alto circa un metro.
Sentì un rumore per le scale, uno scalpiccìo che lo scaraventò indietro nel tempo, con Matty che veniva giù da lui e gli correva incontro, poi si abbracciavano con forza, ma erano solo i figli del vicino.
Matty non c’era più.
Le lacrime iniziarono a scendere e lui non fece nulla per fermarle.
Rovistò allora nel tentativo di fare ordine anche se già sapeva che la confusione nella sua mente gli avrebbe impedito di terminare il lavoro e quando sollevò l’ultima scatola, qualcosa scivolò sul pavimento.
Una foto.
La sorpresa era grande perché ormai da tempo di foto in casa sua non se ne vedevano più.
Un giorno, tornando a casa dal lavoro, aveva trovato sua moglie in lacrime.
Con le forbici aveva sminuzzato tutte le foto, non solo quelle con Matty, ma proprio tutte le foto.
Si era tagliata anche i lunghi i capelli da sola in un modo dissennato.
Era stato il momento più difficile.
Fabio prese la fotografia, la osservò, poi esplose in una gran risata.
Erano ritratti lui e Anita incinta, durante le feste di Natale.
Si ricordò che subito dopo lo scatto, l’albero alle loro spalle era crollato.
Quando rientrò in casa non avvertì alcun rumore, di sicuro Anita era andata a letto, come faceva sempre a una certa ora; il suo però non era dormire, ma fuggire.
Più tardi la sentì alzarsi. Lui era seduto sul divano, immobile.
Anita entrò nella sala da pranzo e la sua figura persa nel tenue chiarore della luce della stanza gli parve più giovane.
La moglie, come ipnotizzata, si avvicinò al tavolo.
Abbassò gli occhi e vide la foto.
La prese e la guardò a lungo.
Fabio rabbrividì terrorizzato all’idea di una sua reazione violenta, ma lei scoppiò a ridere proprio come era capitato a lui.
Aveva un’espressione luminosa che ormai aveva dimenticato.
Si voltò verso Fabio, sorridendo.
«Andiamo a fare una passeggiata al mare?» chiese.
Anche la sua voce era cambiata.

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