“Il Centino come non lo avete mai visto”. Massimo Pulini presenta il suo libro alla Gambalunga di Rimini

Cultura

«Il Centino è il primo pittore di cui mi sono occupato all’inizio del mio rapporto con la ricerca storica» racconta Massimo Pulini, studioso, professore, e artista. Il motivo per cui si è sentito attratto da questa figura e dal suo segno è «legato alla sua tenerezza artistica ed espressiva che emerge dai primi lavori che si possono vedere a partire da quelli esposti nelle chiese e nei musei». Non è difficile capire i caratteri poetici ed espressivi che caratterizzano il Centino, Giovan Francesco Nagli (Cento 1610 ca. – Rimini post 1675), «riscoperto nel primo dopoguerra da Francesco Arcangeli, protagonista storico-artistico su cui mi sono formato», facendo suo l’approccio sentimentale alla storia.

Massimo Pulini è autore del volume monografico, con apparato fotografico a cura di Gilberto Urbinati, dal titolo Centino. Lo sguardo laterale, Nfc edizioni, che sarà presentato il 2 dicembre alle 17.30 alla Gambalunga.

Questa prima, accurata monografia, ampia e dettagliata, sul grande dimenticato della pittura del Seicento, è frutto di «una sedimentazione lunga, che negli anni ha messo insieme notizie e riflessioni tenute chiuse in archivio, sia per via di un tema che doveva depositarsi, sia perché ci volevano delle occasioni giuste per farlo riemerge. L’occasione principale è stata data dal fotografo Gilberto Urbinati, che negli ultimi anni tra i vari suoi obiettivi d’indagine ha messo Centino come palestra particolare, perché la stragrande maggioranza delle opere che si conoscono sono ancora nel nostro territorio, quindi raggiungibili, con l’intento di fotografarli tutti quanti nuovamente e bene, con attenzione specifica ai particolari, con tecniche nuove che sono diventate il filo conduttore di questo libro».

Urbinati ci restituisce così 80 foto per 78 pagine dedicate ai dettagli dei quadri, che vanno a occupare la parte centrale del volume. Esse partono da scandagli interni ai dipinti, «che rilevano lo “sguardo laterale”, le minuzie, come lui stesso faceva nelle sue opere, soffermandosi sui particolari apparentemente più insignificanti, restituendo cura e attenzione, misura di pensiero, che sono certo emergano anche solo sfogliando il libro. Abbiamo spezzato le 80 pagine con stralci dalle schede e dai saggi, che accompagnano l’incontro e il racconto del libro, poi c’è la monografia vera e propria, scheda per scheda con tutti i dipinti che si conoscono, indagati nella parte di considerazione e interpretazione storico-critica».

Raccontare un pittore attraverso i dettagli delle opere trasforma l’idea stessa di un artista, «nel senso che l’artista compie il quadro nella sua interezza, le opere del Centino hanno una adesione allo schema controriformistico tradizionale: due santi ai lati, la gloria al centro; per cui un pittore come lui, finora riprodotto in bianco e nero, con foto di 10x10 centimetri, nei saggi di qualche storico dell’arte finisce per perdere quel tipo di umanità, di attenzione espressiva, che sono la sua cifra».

Così occhi, mani, vesti, emergono in tutt’altro modo, qui il dettaglio richiama l’attenzione, «una questione psicologica personale, che sta tra il morale, l’etico e lo spirituale; pochi artisti come lui possono manifestare a tutti la propria sincerità devozionale, soprattutto nel secolo del gran teatro, il Barocco, che eleva il teatro ad arte, a concetto metaforico, di finzione. Il Centino al di là di tutto cerca l’uomo, lo fa emergere, ha il compito di fare un santo contadino, con sguardo di delicatezza, risultando più di ogni altro uno dei più sinceri del Seicento; altri hanno l’eleganza e la retorica della finzione, qui c’è una volontà di attenersi alla norma, al canone, per carpire uno spiraglio di tenerezza umana, che, come segnalava Arcangeli, “sembra la visione di un sacrestano”, perché è comunque una figura di servizio: questo è in sintesi il nucleo poetico di questo artista, che emerge in maniera esemplare da questi particolari».

La qualità fotografica in questo caso è tale da porre ogni aspetto in risalto, diventa paritetica; infatti il lavoro tra Pulini e Urbinati è stato condiviso pienamente e ognuno ha fatto parimenti la sua parte: «Per un fotografo è una situazione abbastanza particolare, qui non sono in secondo piano. Massimo mi ha ispirato questo tipo di lavoro, in quanto lui fa libri solo con un apparato coerente e con un unico fotografo» spiega Urbinati. «L’intenzione era di fare un lavoro curato, esteticamente gratificante, per cui rifare tutte le foto è stato fondamentale. Sto anche quattro ore su un quadro, parto dall’insieme, poi vado sui singoli dettagli. Fotografo con una Canon da 50 megapixel, per andare vicino e vedere ciò che normalmente non è leggibile, fondamentale per lo studioso».

Tutte le storie dell’arte partono da un concetto di risarcimento, perché il tempo fa smarrire le verità, nel caso particolare ci sono risarcimenti più necessari di altri. Nel primo dopoguerra Centino viene riscoperto insieme al Cagnacci da Arcangeli, «loro prima esegeta. Il santarcangiolese prende una propulsione internazionale, mentre il nostro non è mai uscito dalla diocesi di Rimini se non con piccole eccezioni. Manca ancora una gran fetta del suo lavoro di architetto, del quale conosciamo il Tempietto di Sant’Antonio di piazza Tre Martiri, e forse proprio questa attività lo ha tenuto radicato sul territorio. La Seconda guerra mondiale ha dimezzato la conoscenza di questo pittore, noi speriamo che questa monografia stimoli altri studi, restauri e nuovi itinerari artistici da scoprire: i suoi dipinti si possono vedere in una settimana».

E tutto può contribuire alla ricostituzione dell’identità di una figura che ha sempre cercato il diminutivo.

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