Il brasiliano Calixto Neto al Santarcangelo festival

Cultura

Il ballo contro stereotipi e razzismo. Il coreografo Luiz de Abreu porta a Santarcangelo festival il suo assolo, “O Samba do Crioulo Doido” diventato ormai un “classico” della danza contemporanea. Questa volta ad interpretarlo il brasiliano Calixto Neto. Da domani sera a domenica (diversi gli orari) al Parco Baden Powell il tema dell’identità diventa movimento, gestualità, espressione corporea. L’immaginario esotico ed erotico della fisicità nera viene ribaltato e preso in giro, rendendo la danza percorso di liberazione ed emancipazione.
La collaborazione tra de Abreu e Neto è nata nel 2020, in occasione del Festival Panorama.
«Ci siamo conosciuti in quell’occasione – racconta Calixto Neto – ma conoscevo già il lavoro di Luiz perché per me è sempre stato un riferimento sin dalla prima volta che ho visto questa coreografia nel 2005».
In quale modo la danza può essere strumento di emancipazione?
«Ogni arte è uno strumento di trasformazione, ma per quanto l'emancipazione sia un cammino individuale e costante, ritengo che il passo avanti sia sempre una negoziazione collettiva. La coreografa brasiliana Ana Pi dice che noi siamo ancora vivi su questo pianeta solo perché balliamo. E sono totalmente d'accordo con lei! Tutte le arti sono sempre state la proteina che alimenta le rivoluzioni. Il problema di questa emancipazione collettiva è la negoziazione che deve essere fatta con il resto della società, perché mentre una parte dell'umanità lotta per esistere e per continuare a produrre Bellezza, l’altra parte – che detiene il potere, il denaro e i mezzi di produzione – usa tutto il suo arsenale per mettere a tacere le voci che rivendicano un'esistenza umana per tutti, non solo per alcuni».
Quanto è ancora diffuso il razzismo in Brasile?
«Il razzismo si manifesta in modo diverso da questa parte del mondo, ma è anche nella società europea e lo possiamo vedere nelle strutture e istituzioni che definiscono chi può avervi accesso. Si manifesta quotidianamente in momenti molto ordinari della vita, come negli aeroporti, nei supermercati, nei ristoranti. Il razzismo ordinario ci richiede molta resilienza per non impazzire».
Molti ritrovano in questo assolo anche una vena umoristica.
«C’è chi lo definisce umorismo acido, provocatorio, volontà di disturbare e sfidare il pubblico. Io credo che sia un scelta di confrontarsi con il pubblico con immagini e sensazioni così attese ed evidenti da diventare inaspettate e assurde. Come un soggetto che è sempre stato lì, davanti ai nostri occhi e che non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare. E forse questa è la causa della risata, stordita dall'evidenza di quel corpo che chiede riparazione. Risate nervose, di riconoscimento, perché è un pezzo che indica gli autori delle atrocità commesse contro alcuni corpi. È un’opera che condivide il disagio, toglie le maschere, in un gesto di riassetto delle relazioni: come invito a un nuovo inizio».
Info: santarcangelofestival.com

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