Gea, l’attrice che alle scene preferì il suo imprenditore

Estate 1947. La sciagurata guerra, cessata da appena poco più di due anni, ha massacrato Rimini riducendola in un cumulo di macerie. La popolazione stenta a rimettersi in piedi, ma ci prova; e in silenzio, senza nulla chiedere, si rimbocca le maniche e cura le proprie ferite. A sorreggere i cittadini in questo frangente è solo l’orgoglio, anche se attaccare i cocci di una vita completamente distrutta è un’impresa che ha dell’impossibile.

I giornali, tornati nelle edicole dopo anni di assenza, illustrano la cruda realtà quotidiana, ma cominciano anche a infondere speranza nel futuro. E sono proprio le belle notizie che danno la forza per superare le lacerazioni morali e materiali ereditate dal conflitto. Una di queste, inserita nella cronaca cittadina de L’Adriatico il 5 settembre 1947, richiama la nostra attenzione: «Tutti la conoscono a Rimini: il suo pretto stile di chalet alpestre, dal caratteristico tetto a vasti riquadri di scura ardesia, le ampie finestre, la elegante loggia d’ingresso, il giardino circostante ombreggiato dai pini secolari, la depéndance che ne ripete in piccolo i motivi architettonici. Stiamo parlando della Villa Borsalino, situata dopo l’Hotel Vittoria e prima del Tiro a Volo, a sinistra sulla litoranea verso Bellariva. La signora Borsalino l’ha concessa alla Pontificia Commissione d’Assistenza per ospitarvi centinaia di bimbi, bisognosi di sole e di mare. Sono stati istituiti tre turni, dal primo luglio al 31 luglio. Per ogni turno 250 bambini…».

Fermiamoci su queste note, che regalano un po’ di serenità ai fanciulli, e volgiamo il pensiero alla villa, così simpaticamente descritta dal cronista. L’edificio, uno dei pochi sopravvissuti ai bombardamenti anglo-americani del 1943-44, ci permette di superare gli orrori della guerra e di comporre un brano che divaga su due personaggi che hanno vissuto uno spicchio del loro amore nella stravagante abitazione. Un tuffo nel passato, dunque, che principia proprio dal nome della villa. L’Adriatico, nel trafiletto testé riportato, ce la consegna come Villa Borsalino, ma i riminesi la conoscono e la indicano anche come Villa Sandra, in omaggio ad Alessandra Drudi (1878- 1961), moglie di Teresio Borsalino (1867-1939).
La carriera di Gea della Garisenda
Alessandra Drudi ha alle spalle una apprezzata carriera di cantante e di artista del varietà. Esordisce come soprano nel 1899 portando sulle scene Mimì ne La Bohème di Giacomo Puccini e da quel momento la sua voce cristallina e le sue qualità interpretative l’avviano sulla strada della celebrità. Nel 1907, con lo pseudonimo di Gea della Garisenda – nome d’arte datole da Gabriele D’Annunzio pensando che fosse nata a Bologna e non a Ravenna –, Alessandra lascia la lirica per dedicarsi all’operetta ed è un successo dopo l’altro. «Nell’arte sua – riporta un quotidiano dell’epoca, che a differenza del Vate non sbaglia la provenienza dell’artista – cantano la gaiezza e la malinconia dello schietto popolo romagnolo». In questa nuova versione teatrale ha i suoi cavalli di battaglia ne La vedova allegra, Sogni di un valzer, Capitan Fracassa, Paese dei campanelli. A Rimini recita al Vittorio Emanuele nel 1900 e all’Arena al Lido nel 1910.
I suoi illustri corteggiatori
Considerata una delle donne più belle d’Italia, Gea della Garisenda ha ai suoi piedi una caterva di corteggiatori tra i quali Giovanni Pascoli, Salvatore Di Giacomo, Giosuè Carducci, Olindo Guerrini, Ruggero Leoncavallo e persino Trilussa che le dedica una poesia in romanesco. Nel 1911, durante la guerra di Libia, al Teatro Balbo di Torino, vestita unicamente del tricolore, Gea canta l’inno patriottico A Tripoli. Il motivetto, molto orecchiabile – successivamente ricordato con il primo verso della strofa: Tripoli bel suol d’amore –, le procura un’enorme popolarità, tanto che da quell’istante il pubblico abbina il suo nome a quello della canzone.
Nel 1912, ormai artista affermata, Gea allestisce una propria compagnia teatrale e il repertorio di opere comiche e operette che mette in scena riscuote applausi in tanti teatri italiani. Non tralascia il cinematografo muto, che la vede spigliata interprete dei film La vergine innamorata e Amor che nulla vince.
Teresio Borsalino, l’imprenditore


Teresio Borsalino, senatore del Regno dal 1924 al 1939 – anno della morte –, fu un grande imprenditore e un grande benefattore. Nell’azienda di cappelli di feltro, ereditata dal padre, introdusse una serie di innovazioni d’avanguardia che migliorarono la produzione rendendola più redditizia e favorirono l’aspetto sociale dei dipendenti instaurando per loro varie garanzie tra le quali l’assicurazione per gli infortuni, la cassa di previdenza per la pensione, l’assistenza medica e l’asilo nido per i figli delle operaie gestito da personale specializzato. Tutto questo, ricordiamolo, in un momento in cui i lavoratori avevano pochi diritti e nessuna tutela. Anche fuori dalla fabbrica la vita di Borsalino fu una continua elargizione di beneficenza e di opere filantropiche.
L’amore tra Alessandra e Teresio
E veniamo all’amore tra Alessandra e Teresio. All’inizio degli anni Dieci, Gea della Garisenda, sposata nel 1902 con il nobile Pier Giovanni Dragoni di Bagnacavallo – dal quale ha la figlia Piera –, si separa dal marito e si unisce more uxorio con Teresio Borsalino. La loro unione, molto contrastata dai familiari dell’imprenditore, scatena il pettegolezzo; ma riesce a superare ogni avversità. Nel 1922, su desiderio di Teresio, Gea della Garisenda lascia l’attività scenica e torna a essere Alessandra Drudi e nel 1933, dopo la morte del marito, convola a nozze con il suo amato. La coppia passa l’estate al mare: a Riccione, fino alla metà degli anni Trenta, poi a Rimini, a Villa Sandra.
Da Teresio, Alessandra acquisisce la generosità verso il prossimo, che la porta a intraprendere importanti iniziative caritatevoli. Tra queste la realizzazione, nel 1939, di un edificio educativo per i piccoli a Villa Verucchio, opera che prenderà il nome di Giardino d’Infanzia Sandra Borsalino.

E siamo a Villa Verucchio. Dal 1925, Alessandra ha fissa dimora in questa minuscola borgata di campagna. Abita in un podere di circa 150 ettari: la Tenuta Amalia, che sarà resa famosa da suo nipote Alessandro Gavazzi per la produzione di vini pregiati. In questa casa, arricchita da cimeli e ricordi, Gea della Garisenda trascorrerà il resto della sua vita.

La bella “favola” che abbiamo appena accennato e che ha preso lo spunto dalla villa – «situata dopo l’Hotel Vittoria e prima del Tiro a Volo, a sinistra sulla litoranea verso Bellariva» – non si esaurisce con i due celebri personaggi, altri non meno prestigiosi si legano ad essa. Ne parleremo nel prossimo articolo.

(riproduzione riservata)

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