
Frederick Forsyth, Odessa, Priebke e Rimini
FEDERICO VAGNONI
Non era James Bond o tantomeno un agente segreto, ma è stato uno dei migliori nello spionaggio. La letteratura inglese perde l’ottantaseienne Frederick Forsyth, uno dei principali volti dietro ai racconti delle spy story più avvincenti. Per decenni ha arricchito la spionistica internazionale regalando al proprio pubblico gialli e thriller di indubitato successo del calibro di “Il giorno dello sciacallo”, “I mastini della guerra” e “Dossier Odessa”.
Ma perché ricordiamo proprio lui? Cosa ha a che fare con la nostra Romagna? Il motivo si ritrova nell’ultima opera citata, “Dossier Odessa” del 1972. Il libro tratta la storia di un nazista che riesce a sfuggire alla cattura grazie all’organizzazione Odessa, creata apposta per portare in salvo i gerarchi tedeschi dopo la guerra. Uno dei principali campi di prigionia alleato si trovava proprio a Rimini, che, allo stesso tempo, era una della vie preferite dai soldati nazisti per fuggire alla cattura. Era detta “ratline” o “via dei topi”. Dal romanzo è stato tratto nel 1974 un film con Jon Voight.
Riportiamo alla memoria Forsyth perché, con le sue righe magistrali, ricorda uno dei momenti più bui della storia riminese. Momenti, però, da dover ricordare sempre e comunque.
È il maggio del 1945 e, finita la guerra, il territorio di Rimini viene investito da una nuova occupazione militare.
«Enklave Rimini fu la più vasta area di internamento in Italia di prigionieri tedeschi e di altre nazionalità che avevano collaborato con il Terzo Reich. Creata dagli Alleati e funzionante fra maggio 1945 e l’inizio dell’estate 1947 si estese da Riccione a Cervia e si trattò di una rete di campi di concentramento pensata per accogliere circa 150.000 prigionieri, a poca distanza dal mare», come spiega lo storico Alessandro Agnoletti.
Centro nevralgico dell’Enklave fu l’aeroporto di Miramare, che dall’autunno del 1945 mutò nella più grande città tedesca al di fuori dei confini della Germania. Fu una presenza ingombrante e vincolante per un territorio, come quello della riviera, alle prese con un travagliato processo di ricostruzione, di ripresa delle normali attività civili e riabilitazione generale dopo i devastanti trascorsi della Seconda guerra mondiale.
«All’interno dell’Enklave», continua Agnoletti, «dopo alcune settimane di stenti e difficoltà, si instaurarono rapporti corretti fra vinti e vincitori e furono permesse molte attività di carattere formativo, culturale, sportivo e ricreativo in genere. Il campo aveva le dimensioni di una piccola città suddivisa in “quartieri” di baracche, in base alla nazionalità dei prigionieri, con tanto di cinema, università, grande sala concerti, chiese e quant’altro».
I rapporti fra Rimini e l’altra “città” cosmopolita che le fu fondata accanto non furono aggressivi o negativi. La promiscuità era affare d’ogni giorno e questo, col tempo, fece sì che ai prigionieri venisse lasciata ampia libertà di movimento. Di conseguenza le fughe non erano episodiche.
«Di notte il confine fra il campo ed il mondo esterno praticamente sparisce. Nell’inverno fra il 1946 ed il 1947 fior fiore di criminali di guerra, come il famigerato capitano SS Erich Priebke, fanno perdere le proprie tracce. Molti di questi grazie alla “via dei topi” da Rimini giunsero a Roma per poi sbarcare in Sud America».
I prigionieri, col passare dei mesi, cominciarono a essere rimpatriati a ritmo via via sempre più sostenuto. Parecchi di loro sarebbero ancora scesi sulle nostre spiagge in veste di turisti e ancora oggi ne vediamo gli effetti, visto il continuo e massiccio “vai e vieni” di tedeschi in vacanza ogni estate.
Per concludere, con la chiusura del lager di Miramare in quell’afosa estate del 1947, salutata con entusiasmo dalla popolazione locale, si segnò una volta per tutte la fine della guerra, anche in queste contrade.