Fatti a personaggi della cronaca riminese tra 800 e 900, Luigi Dionigi

Cultura

RIMINI. Nel precedente articolo dedicato a Dante Sagrestani, «macchiettista» della Capanna svizzera, abbiamo evidenziato un diverbio tra “papalini” e “libertini” esploso nell’estate del 1897 in seguito a una scenetta umoristica che aveva per protagonisti due artisti vestiti da prete e da suora.
Polemiche tra clericali e anticlericali sono all’ordine del giorno in quel periodo e i giornali, espressione di varie tendenze politiche, nel riferire le animate discussioni anziché smorzare i toni delle controversie li accentuano. E i riminesi, che sono teste calde, abboccano. È sufficiente un appiglio, anche il più insignificante, per dare addosso alla «sottana nera» o ai «mangiapreti».
La vicenda che proponiamo si inserisce nel contesto di queste baruffe e il pretesto che fa scattare l’ennesima diatriba è una croce, o meglio, due tavole di legno a forma di croce. Detto questo entriamo in argomento.
Prima dei comitati turistici
Nell’estate del 1885 la “Società riminese pei divertimenti” – un sodalizio composto da «persone di buona volontà» attivo già da due anni nel settore delle iniziative ricreative e culturali cittadine – si propone di vivacizzare la vita del lido con una serie di «svariate» manifestazioni in spiaggia, sulla Piattaforma e nelle sale dello Stabilimento balneare. Sostenuta finanziariamente dal contributo volontario degli “esercenti turistici”, la benemerita Società mette in calendario concerti, feste di ballo, luminarie e fuochi d’artificio; uno spettacolo, quest’ultimo, molto gradito alla colonia bagnante. E proprio per allietare il soggiorno degli ospiti di agosto è ingaggiato l’artificiere più osannato del momento: Luigi Dionigi di Meleto.
I magici fuochi colorati
Dionigi «è un pirotecnico pieno zeppo di fantasia… romantico e sentimentale» e la sua attività ha sempre gli onori della cronaca giornalistica. Il periodico Italia del 6-7 settembre 1883 dedica un’intera pagina ai suoi «magici fuochi colorati» e il brano che segue – con una prosa tipica del periodare ottocentesco – è solo un assaggio delle meraviglie suscitate da un suo spettacolo andato in onda nel piazzale retrostante lo Stabilimento.
«Alcuni razzi, alcune girandole, spesso “svenivano” in dolci e lenti languori di deliquj, quasi accennando di volere come stanchi spegnersi e morire… poi all’improvviso riesplodevano più ardenti, più animati, più tempestanti di fiamme ed empivano la piazza di incendio e gli animi di allegria. Né ponno immaginarsi le fantasticherie dei razzi. Ora “vie lattee”, ora vere “comete” colla brava loro coda; ora pioggia di stelle o di polvere d’oro o di nebbie incandescenti, creatura e figliuola d’astri a nuove forme di “plejadi” innominate. Non vi parlo di certe convulsioni di circoli di fuoco, agitati e agitanti come anime in fiamme, dementi, cozzanti fra loro. E i vulcani? Erompevano immensi da piccoli vasi come prestigi magnetici di maghi, come piccoli mondi che distruggevansi in lava, in fumo, in faville in un istante, scuotendo tutta l’atmosfera e la terra e le nubi intorno. Non vi parlo delle così dette bombe fino a sei esplosioni, ad eco, effondenti sulle facce incantate dell’allegra popolazione d’iridi bollenti, scendenti leggiadrissime come piogge di bene…».
Dalla descrizione dei fuochi, così poetica e minuziosa, si comprende l’enorme attrattiva che questi suscitano nella gente. Siamo, del resto, in un periodo in cui gli effetti di luce destano stupore; non a caso la notte è ancora illuminata dai «fanali a gas» o dai «lampioni a petrolio».
Scoppiano le polemiche
Torniamo all’estate del 1885. L’attesa per i fuochi d’artificio della «rinomata ditta pirotecnica di Luigi Dionigi di Meleto» è grande e lo show, che regalano a forestieri e cittadini i primi di agosto nell’area di spiaggia antistante la Piattaforma, soddisfa in pieno le aspettative. La fantasmagorica serata, tuttavia, non sarà ricordata per lo straordinario crepitio pirotecnico, ma per le scoppiettanti polemiche – del tutto fuori posto – tra “papalini” e “libertini” sorte durante la preparazione dei fuochi. L’increscioso litigio, che turberà per settimane i rapporti di vicinato politico tra i riminesi, lo apprendiamo dalle colonne del giornale Italia di mercoledì 12 e giovedì 13 agosto 1885 in un trafiletto che – seppure in maniera un po’ contorta – riporta la testimonianza di un lettore.
«Allorché il Dionigi – leggiamo sul periodico – organizzava la macchina dei suoi fuochi e mise fuori una “CROCE, che doveva tutto illuminare, la canaglia lo prese a villanie ed improperi ed egli dové rincorrere alla forza dei carabinieri, che lo pregarono a non inalberare la CROCE fino che non era notte … Transazione dei deboli! Mentre essi fanno processioni, dimostrazioni, ecc. ecc. e niuno di noi li disturba mai, lascino un po’ di libertà, per Dio, anche a noi. Se essi sono diavoli – perché non possono vedere la CROCE – che colpa ne abbiamo?».
Come si può arguire, un piccolo pretesto per una furibonda lite.
Nel commentare lo «scandalo delle ultime feste alla marina», Italia – periodico “politico e letterario” di tendenza liberale e monarchica con simpatie clericali – mette la solita benzina sul fuoco e fa emergere il disprezzo che nutre nei confronti della «teppaglia anticlericale».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui