Ennio Grassi: il 1991 fu la fine di un'epoca per il Pci

Cultura

Sono passati trent’anni da quel 31 gennaio del 1991. Oltre un quarto di secolo dall’avvio del XX e ultimo congresso del Pci. Quattro giorni dopo, il 3 febbraio, l’assemblea congressuale avrebbe votato a maggioranza il cambio del nome: non più “comunisti” ma “democratici di sinistra”. Una nuova inevitabile intrapresa, dopo la fine del muro di Berlino e in un contesto politico italiano in cui si coglievano già le prime avvisaglie della stagione di Mani pulite, con gli effetti che oggi conosciamo anche sul sistema dei partiti. Ma questa è un altra storia.
In Parlamento
Ricordo – ero da poco approdato alla Camera dei deputati dopo l’esperienza amministrativa come assessore alla Cultura del Comune di Rimini – il clima che accompagnava ogni giorno la discussione in Transatlantico con i colleghi, prima dell’avvio dei lavori in aula e dopo, fino a notte tarda. Molta la partecipazione emotiva, poca direi la cognizione di ciò che stava accadendo dentro e soprattutto fuori del partito, nella società italiana.
Con la svolta della Bolognina del novembre del 1989 Occhetto aveva annunciato l’idea di un cambio del nome a fronte di eventi storici ad alto tasso simbolico, culturale e politico, con la caduta del muro di Berlino su tutti. Un clima da un lato caratterizzato da un certo entusiasmo, così l’avvertivo anche personalmente, per un orizzonte d’attesa che pareva aprire l’impegno politico a nuovi scenari, tra cui quello di possibili prospettive di governo, e dall’altro un sensibile effetto di spaesamento anche a fronte di esperienze di sinistra “moderata”, leggi Psi, non condivise. Personalmente, provenendo dall’esperienza dei cristiani per il socialismo e della comunità di base con riferimenti a un’area dei cattolicesimo “critico” – da padre Balducci a don Franzoni, da don Mazzi ai teologi della liberazione (tra cui Paul Gauthier e Leonardo Boff) che a Rimini avevano nel Circolo Maritain guidato da Antonio Zavoli il loro luogo di incontro –, non avevo dubbi sulla necessità del cambiamento che naturalmente non poteva essere semplicemente nominalistico. Insomma, la mia prima formazione politica non essendo stata quella tradizionale dei dirigenti storici del Pci mi sostenne nel vivere la transizione come un momento in cui si sarebbe potuto con maggiore lucidità e nuovi strumenti critici comprendere il passaggio epocale in corso. Quello che oggi diremmo della post modernità. Ciò che non accadde purtroppo. Quattro anni dopo si ebbe infatti il primo Governo Berlusconi.
Il figlio di Gramsci
Il Congresso di Rimini lo ricordo come uno storico, grande momento in cui la “comunità” nazionale e locale della sinistra comunista si incontrava per l’ultima volta. Tanta la partecipazione, anche esterna. Un ricordo personale: conobbi allora, con mia moglie Patrizia, Giuliano, il figlio di Antonio Gramsci, e la consorte. Un incontro che tengo a mente con una certa emozione.
Quanto al Congresso, fu un ultimo abbraccio tra “compagni” prima delle oramai inevitabili cerimonie degli addii. La fine insomma di un’era.

  • ex parlamentare del Pci

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