Eloisa Betti: genere, salute e lavoro vanno a braccetto

Una studiosa giovane a attenta ad argomenti che in questo mondo in continua e veloce trasformazione fanno veramente da “cartina di tornasole” a fenomeni sociali complessi. Eloisa Betti, docente a contratto di Storia del lavoro al Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà dell’Università di Bologna, ha già all’attivo numerose pubblicazioni legate alla storia del lavoro, e alla storia delle donne e di genere. Numerosissime sono le collaborazioni con fondazioni e istituti di ricerca che si occupano di queste tematiche, mentre Betti è anche responsabile scientifica dell’Archivio dell’Udi di Bologna e membro del comitato direttivo dell’associazione nazionale degli Archivi dell’Udi. Socia dell’Associazione di ricerca storica Clionet dal 2017, la studiosa bolognese ha recentemente pubblicato Le ombre del fordismo e per la collana “OttocentoDuemila” ha curato insieme a Carlo De Maria il volume Genere, salute e lavoro dal fascismo alla Repubblica. «In regioni come la nostra, come la Toscana o anche la Lombardia – afferma – le professioni femminili sono state fondamentali per lo sviluppo economico. Anche la crescita industriale romagnola negli anni del boom molto deve alle donne, anche se spesso il loro contributo è poco noto. Esiste però una abbondante documentazione d’archivio, che permette di ricostruire, anche attraverso le immagini, luoghi e condizioni di lavoro».

A quali fonti si è rivolta in particolare per questi recenti lavori?

«La ricchezza degli archivi dell’Udi è ragguardevole in Emilia-Romagna, ma sono preziosi anche quelli dei sindacati e dei partiti, che permettono di fare luce su singoli territori o su specifici ambiti e realtà produttivi».

Quindi, a fronte della quantità dei dati, risulta… inevitabile occuparsi di questi temi.

«Sì, l’abbondanza di notizie e documenti, e il fatto che tutto sommato non siano poi così noti mi ha ispirata, come lo ha fatto l’interesse nato dall’incrociare questi dati con quelli statistici, che con i loro indicatori permettono di trarre conclusioni interessanti, in primo luogo il rilievo della presenza femminile nello sviluppo industriale della regione».

Un’importanza che spesso, lei sostiene, rischia di restare sotto traccia.

«Perché la continuità e i punti di contatto con il lavoro maschile e la differente percezione del loro rilievo, hanno creato stereotipi che ancora persistono, e che hanno influenzato il modo stesso di leggere i dati».

In “Genere, salute e lavoro dal fascismo alla Repubblica” vi concentrate sulla storia dello sviluppo industriale italiano nelle diverse regioni, ma ci sono alcuni contributi specifici sulla Romagna.

«Sono stati esaminati il caso forlivese della Orsi Mangelli, e da Federico Morgagni quello faentino della Omsa. Da entrambi emerge che il tema del diritto al lavoro da noi si correla precocemente, già alla fine della guerra, con quello della salute, anche da un punto di vista di genere che deve necessariamente occuparsi del rapporto fra “lavoro” e “maternità”. Ciò accade proprio per la specificità di queste realtà industriali, e in parte addirittura anticipa una riflessione collettiva. Compare inoltre il quesito sulla programmazione economica, in convegni dove le donne si interrogano in modo attivo sul lavoro femminile nella più ampia dimensione dello sviluppo economico».

Sono dibattiti purtroppo dimenticati.

«E infatti il nostro lavoro vuole essere un contributo, e vuole mettere in relazione una triade, quella fra lavoro, salute e genere, specifica di quest’area e non messa sufficientemente in luce neppure dalle fonti, che tendono a parlare di “lavoratori” o di “operai” in maniera neutra. Invece gli studi raccolti nei due volumi permettono di restituire dignità, e peso, alle rivendicazioni delle donne lavoratrici. Proprio il periodo affrontato consente inoltre di fare luce su quanto sia stato importante l’impatto delle loro richieste per la realizzazione di servizi per l’infanzia, di asili e asili nido, che, affidati dal 1971 agli enti territoriali, hanno permesso alle donne di conciliare con maggiore serenità i loro diversi ruoli, e hanno fatto anche in modo che si creassero inedite alleanze fra amministrazioni e aziende, chiamate a sostenere queste realtà tramite specifici accordi».

Ma arriviamo all’oggi…

«Che non rassicura: il lockdown ha rivelato con particolare evidenza quanto la sospensione temporanea dei servizi gravasse in maniera particolare sulle spalle delle donne, in prima linea peraltro anche come operatrici dei servizi sanitari, o incluse in categorie “invisibili” come quelle degli addetti alle pulizie. Il contributo delle donne in servizi essenziali, e rischiosi, è stato ed è essenziale in questa emergenza sanitaria, è sotto gli occhi di tutti: e questa consapevolezza dovrebbe spingere a una maggiore attenzione alla salute di chi lavora e alla sua dignità. E dire che invece ancora le donne vivono un nesso negativo fra precarietà del lavoro e tutela della salute, fra possibilità di carriera e retribuzione: questo, nonostante un grande, straordinario contributo alla vita dei loro paesi, ancora troppo poco visibile…».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui