Antonia Alighieri, la figlia di Dante divenuta Beatrice

Cultura

Forse la figura più sfuggente nella biografia di Dante è quella della figlia Antonia. Di lei si conoscono pochi cenni biografici e una controversa identificazione con suor Beatrice Alighieri, monaca domenicana nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna. Eppure da sempre la sua persona accende la curiosità dei commentatori ed è stata oggetto di numerose opere letterarie.

Figlia di Gemma Donati

Figlia minore, probabilmente, di Dante e Gemma Donati, nata fra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, di Antonia Alighieri abbiamo notizie attraverso alcuni documenti: il più antico di questi, datato 1332, è conservato all’Archivio notarile di Firenze e riporta l’impegno di Jacopo Alighieri e del fratello Pietro a ottenere il consenso della madre Gemma e della sorella Antonia per una vendita patrimoniale. Alcuni decenni più tardi, nel 1350, documenti attestano l’incarico conferito a Giovanni Boccaccio di portare la somma di dieci fiorini, donati dai Capitani della Compagnia di Orsanmichele in Firenze, a suor Beatrice Alighieri presso il convento di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna. Un ultimo documento del 1371, ritrovato dallo studioso ravennate Silvio Bernicoli, attesta un conferimento di denaro al monastero in quanto erede universale di suor Beatrice, datando quindi intorno a quegli anni la sua morte.

Suor Beatrice

L’identificazione fra Antonia Alighieri e suor Beatrice ha conosciuto fortune alterne tra gli studiosi, essendo i documenti scarsi e spesso solo riportati. Resta come tratto dominante la scelta del nome Beatrice, all’ingresso in convento, che costituisce rimando inequivocabile e profondamente evocativo all’opera dantesca.

Quel che è certo è che la figura di suor Beatrice ha fortemente influenzato gli artisti anche nelle epoche successive: ne sono testimonianza alcune opere pittoriche, come “Boccaccio fa visita alla figlia di Dante” di William Bell Scott, o l’acquerello di Gualtiero De Bacci Venuti “Dante e sua figlia Beatrice a Ravenna”.

Anche la letteratura ottocentesca è rimasta affascinata dalla figura di Beatrice, con tre opere in particolare: “Dante in Ravenna” di Luigi Biondi, del 1837, “Dante a Ravenna” di Tito Mammoli del 1883, e soprattutto “Beatrice Alighieri” di Ifigenia Zauli Sajani, del 1853.

Quale il vero nome?

Scrittrice, moglie del patriota forlivese Tommaso Zauli Sajani, esule a Malta dopo i moti del 1830-1832, Ifigenia collaborò con lui alla redazione del “Mediterraneo” che fu per un trentennio il foglio più autorevole fra quanti a Malta appoggiavano la causa italiana. Sajani ipotizza che Beatrice fosse il vero nome della figlia di Dante, e così la descrive: «Cresciuta in virtù, e bella come il più puro desiderio di amore, molto aveva preso del malinconico sembiante paterno, imperciocché a guisa del giglio della valle allevato al roco mormorare di un ruscelletto, era vissuta a lato dell’afflitta madre, sempre sospirando al lontano genitore del quale tante cose le ragionava la fama».

Ravenna ricorda

Ravenna ricorda la figura di Beatrice Alighieri con due importanti segni. Il primo è l’intitolazione della strada antistante l’ex monastero di Santo Stefano degli Ulivi, nel 1881; la seconda è una lapide, sulla facciata della stessa chiesa, recentemente restaurata a opera del Gruppo consorti Rotary Ravenna e Rotary Galla Placidia, che recita: «Beatrice, figliuola di Dante Alighieri, in questo cenobio di Santo Stefano degli Olivi si votò a Dio, indignata dalle nequizie del mondo, visto da una rea fazione di cittadini dannato il padre a perpetuo esilio e mendico ire in cerca dell’altrui pane».

Dettata dall’intellettuale ravennate Filippo Mordani, fu posta sul muro dell’ex convento nel 1864 poi, all’inizio del Novecento, spostata sulla facciata della chiesa, dove si trova tutt’ora.

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