Covid, la psicoanalista: "La mascherina è il loro rifugio, ma i nostri giovani hanno bisogno di aiuto"

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Elisa Facondini, psicoanalista, quali sono le ripercussioni psicologiche di questa situazione di incertezza sui bambini e sui ragazzi?

«Bambini e adolescenti hanno sperimentato cambiamenti sostanziali negli ambienti di vita, nelle routine quotidiane e nelle reti relazionali, educative e sociali che normalmente favoriscono la promozione della salute e la resilienza agli eventi traumatici. L’esperienza della pandemia ha messo a nudo la fragilità dell’essere umano e l’illusoria ricerca di sicurezze. Può questa condizione essere la base per una ripartenza? La riapertura non è solo un fatto economico, ma anche un fattore mentale. C’è come un riflesso incondizionato che in questi mesi si è attivato in noi e nel contatto con l’altro: se da una parte ne abbiamo bisogno, dall’altro porta con sé qualcosa di pericoloso. Ci vorrà tempo per riabituarci. Dobbiamo cercare di comprendere come uscire dalla prigione che si è trasformata per alcuni in rifugio. E’ a partire dalla capacità di tollerare la paura, il dubbio e l’incertezza del futuro che possono emergere nuovi pensieri e aprirsi prospettive fino a questo momento sconosciute».

Il primario della pediatria di Forlì ha raccontato della comparsa delle mascherine nei disegni dei bambini e di bambini che non vogliono più togliersele. Per quelli più piccoli che non hanno visto altro, diventerà un simbolo che non dimenticheranno mai?

«La mascherina è il simbolo dell’esperienza che è entrata a far parte della nostra vita. È importante non smentire quello che il piccolo avverte e non chiudersi ai tanti interrogativi che si pone. Occorre accompagnare il bambino all’incontro con la malattia. La bugia più frequente che gli adulti si raccontano per sfuggire a questo compito è “È troppo piccolo per capire”. In realtà, sono spesso gli adulti a essere troppo spaventati o insicuri nel parlarne. È importante avere umiltà e la fiducia necessaria per lasciarsi aiutare dai bambini, dalla loro naturale curiosità del mondo. Negare a un figlio la possibilità di interrogarsi e di interrogare l’adulto sulla malattia non lo proteggerà, ma risuonerà come un divieto all’indagine. Divieto che potrà allargarsi ad altri campi del sapere e che non consolerà il bambino, ma trasmetterà l’idea di un adulto spaventato potenzialmente e silenziosamente colpevole, quindi poco adatto a soccorrerlo».

La mancanza di una vita sociale normale ha fatto esplodere la violenza fra i giovani. Perché la ritrovata libertà è arrivata ad esprimersi anche in maniera così incontrollata?

«La naturale attitudine degli adolescenti alla contestazione e alla ribellione trova terreno fertile nell’incertezza degli adulti indecisi riguardo al loro ruolo, alla loro funzione e alla gestione di questa pandemia. Assistiamo ad un’inconsistenza dei valori di autorità e responsabilità, che portano alla mancanza di limiti che aiutano a contenere. Solo attraverso un lavoro di rete e non ad una delega riusciremmo ad accompagnare i giovani in questo momento così delicato».

La pandemia potrebbe avere anche delle conseguenze meno visibili sullo sviluppo dei bambini e dei ragazzi. A che cosa è opportuno prestare attenzione?

«La pandemia di Covid-19 avrà effetti a lungo termine sulla salute mentale. E’ urgente prepararsi e ampliare l’accesso alle cure, a partire da giovanissimi e fragili. E bisogna recuperare la fiducia nelle relazioni. È un compito che riguarda la vita individuale ma anche quella collettiva. L’osservazione, l’ascolto, la capacità di pensare e di accogliere le emozioni diventano gli strumenti per continuare insieme a lavorare con i bambini, gli adolescenti, i loro genitori e le istituzioni».

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