Covid, il direttore generale dell'Ausl Imola: "Sul tracciamento non si è voluto investire"

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La lotta alla pandemia continua ad essere fatta di passi avanti e nuove sfide. Ora si impennano i casi ma si muore meno, comunque la guerra al virus è tutt’altro che conclusa.

Ogni volta che che una nuova ondata “si fa dura”, il problema che si ripropone con maggiore evidenza resta quello del tracciamento. Mai sufficiente.

«Il tracciamento funziona bene quando la circolazione virale non è così alta come adesso. Nei periodi in cui abbiamo pochi casi registriamo la media di tre contatti messi in quarantena per ogni caso attivo, l’ultima settimana in cui il contagio è cresciuto, la media è scesa a 1,8 persone in quarantena. Significa che ci siamo persi mediamente 1,2 contatti, perché ci sono un sacco di telefonate da fare e a volte è difficile ricostruire i passaggi, a volte le persone non ricordano o non dicono. La modalità del tracciamento è ancora molto basato sulla disponibilità delle persone e sul loro grado di responsabilità. Noi non abbiamo alzato bandiera biancha e siamo una delle poche Ausl che tiene il passo è chiaro che ci sono anche mancanze di tempestività a volte. Ma nel 90% dei casi completiamo il contact tracing in 24 ore massimo 48 ore da primo referto».

Quindi quello che si è già vissuto non ha ancora insegnato abbastanza?

«È che sul tracciamento non si è voluto investire. Nessuno parla più del flop della app Immuni. Bastavano automatismi ad esempio sulla georeferenziazione dei contatti per semplificare le cose, ma qui ha prevalso l’idea che bisognasse salvaguardare prima la privacy. Non si può adesso scaricare sulle Ausl i costi di una non decisione politica. Senza automatismi, sarebbe stato poi necessario dotare le Ausl di contingenti adeguati di personale, ma anche questo non è stato deciso. Noi abbiamo ottenuto ora 3 unità dell’esercito, più di molte altre Ausl, una goccia nel mare ma ci aiuta. Voglio però ringraziare tutte le associazioni di volontari che fanno accoglienza ai nostri vari hub vaccinali, il loro lavoro agevola e velocizza quello dei sanitari ed è prezioso».

Le crepe del sistema di tracciamento si sono viste a scuola.

«Lì le procedure di tracciamento sono ulteriormente complicate, con un gran numero di test che non servono a niente. I protocolli non sono i dieci comandamenti: si dovrebbero adattare alla situazione e quel protocollo funziona con bassa circolazione virale, non nello stato in cui siamo adesso. Abbiamo fatto proposte da Imola e le Regioni l’hanno fatta propria e proposta a livello nazionale: partire con la quarantena al primo caso positivo in classe laddove ci sono stati contatti stretti, ma per ora il fronte governativo ha fatto muro. Sono anche io fra chi dice che la scuola deve essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire, ma quando c’è un’alta circolazione di virus come ora, e come sarà ancora di più quando la variante Omicron diventerà dominante, per esigenze di sanità pubblica dobbiamo prendere provvedimenti tempestivi. Sospendere attività didattiche non basta perché i bambini continuano a muoversi altrove. Quindi quarantena subito e al quinto giorno tampone per riammettere solo i negativi. Oggi il protocollo è un vero colabrodo».

Inoltre, la paura di perdere il green pass non sta generando omertà ostacolando un tracciamento efficace?

«Il rischio che ci siano persone in cui prevalga l’idea di farla franca c’è. Quando si crea un sistema di regole ci sono quelli che provano ad aggirarle, ma non vuol dire la regola sia da gettare. Ritengo che questo sistema sia la soluzione valida, non l’obbligatorietà del vaccino ma un sistema di regole che genera responsabilità e limitazioni a chi non se le prende. La pandemia ci ha insegnato che la cosa più importante è avere comportamenti responsabili. Il green pass avendo equiparato per un certo periodo la vaccinazione al tampone non ha agevolato e ha sovraccaricato il sistema dei tamponi. Noi cerchiamo di usare le risorse nella maniera più razionale possibile, e comunque non possiamo tamponare tutti, tutti i giorni».

La variante omicron rimette in discussione questo sistema di sicurezza?

«Oggi chi ha il massimo livello di protezione è chi ha fatto la terza dose. Abbiamo ancora pochi dati, ma la vaccinazione è ancora l’architrave di contrasto al virus. A livello regionale ci sono alcuni sequenziamenti in corso. Stando ai dati sui livelli di diffusione registrati in altri Paesi e a livello nazionale c’è da credere che entro fine anno sarà la variante assolutamente prevalente, la velocità di sostituzione è molto elevata. Ci sarà da aspettarsi più casi. Non sappiamo ancora abbastanza sulla sua pericolosità e su quanto il vaccino funzioni da barriera. Per questo ci stiamo attrezzando».

Quindi verranno riattivati i reparti Covid e riorganizzati i reparti in ospedale?

«a Imola riapriremo la terapia intensiva Covid dopo Natale con 4 posti, le terapie intensive di Bologna adesso sono sature. I ricoveri ordinari si mantengono per ora stabili sulla dozzina, ma è presumibile che aumenteranno. Sono comunque numeri pari a un terzo rispetto a un anno fa».

Con l’anno nuovo quindi saremo da capo?

«Vacchino e green pass non risolvono oggi la pandemia, ma progrediamo e non è che se qualcosa cambia o non basta non è che dobbiamo disconoscere quanto fatto finora. Il contesto si modifica ed è naturale procedere per prove. Siamo nelle mani di Dio? No, siamo nelle mani della scienza che progredisce e fa errori ma dagli errori impara. Però non abbiamo ancora finito di migliorarci, ne vedremo ancora delle altre».

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