"Cosa era la vita per Fellini? Coincideva con il cinema"

F u l’ultima assistente di Federico Fellini. Fiammetta Profili ha lavorato a fianco del Maestro ininterrottamente per tredici anni. Iniziò a collaborare nel 1980 subito dopo l’uscita de La città delle donne, lavorando al film E la nave va (1983) e andò avanti al suo fianco fino all’ultimo film, La voce della luna (1989), stando accanto a Fellini fino alla sua morte, avvenuta il 31 ottobre 1993.

Come vi eravate conosciuti?

«Io ero molto giovane e mi occupavo dell’ufficio stampa del Teatro Tenda a Roma. All’epoca era in scena lo spettacolo di Gigi Proietti A me gli occhi please, che Fellini venne a vedere più volte. Aveva anche preso Proietti come doppiatore di Donald Sutherland per il Casanova. Qualche anno più tardi, lui aveva bisogno di una traduzione di un soggetto, io ero bilingue e mi chiese di farla. Mi fece anche cenare con Giulietta, era il suo modo di chiederne un parere, l’approvazione. Alla fine, quando se ne andò Liliana Betti, sua assistente e aiuto regista, mi chiese se volevo andare a lavorare con lui a Cinecittà».

Com’era Federico Fellini fuori dal set?

«Era sofferente. Per lui la vita era il cinema. Quando finiva un film per lui era un passaggio da chiudere e tornare al più presto di nuovo a dirigere. Quando eravamo fuori dal set scriveva soggetti, incontrava persone che gli potessero dare delle idee, incontrava produttori. Per me erano i momenti più divertenti ed esaltanti, perché ero sempre a stretto contatto con lui. Riceveva una marea di lettere e rispondeva a tutte. Era curioso, diceva “è la curiosità che mi fa alzare dal letto la mattina”».

Qual era la sua giornata tipo, se si può parlare di giornata tipo, a fianco di Federico Fellini?

«Lui aveva un piccolo ufficio in Corso Italia. Ci vedevamo lì oppure al bar da Canova, in Piazza del Popolo. Io mi mettevo alla macchina da scrivere, la sua Olivetti, e mi dettava un soggetto oppure smistavamo la posta. Poi di solito a pranzo c’era un incontro con qualcuno: attori o registi stranieri, qualche personalità di passaggio a Roma. Gli stranieri che venivano a Roma volevano conoscere il Papa e Fellini».

E poi cosa succedeva nel resto della giornata?

«Il pomeriggio si continuava il lavoro in ufficio. Questo succedeva tra un film e l’altro».

E invece quando si iniziava a girare?

«Quando il film partiva, la mattina ci incontravamo prima al bar Canova e da lì raggiungevamo Cinecittà in auto. Quando fu inaugurata la nuova linea metropolitana Fellini volle andarci in metro. Era per lui un divertimento assoluto. Sul treno nessuno lo disturbava, al massimo gli sorridevano o dicevano “Buongiorno Maestro”. A un certo punto però disse basta. Lui era fatto così: dopo un po’ si stancava. Allora prendeva su l’auto. I viaggi in macchina lo ispiravano, stava in silenzio e pensava. I produttori temevano che dal viaggio a Piazza del Popolo a Cinecittà cambiasse una scena o chissà che altro...».

Anche quando si lavorava a Cinecittà il momento del pranzo era cruciale. Dove si andava?

«Andavamo a mangiare tutti i giorni al ristorante Il Fico, ai castelli romani. Il proprietario, Claudio Ciocca, ebbe da un certo momento in avanti una parte in tutti i film di Fellini. In Prova d’orchestra era il sindacalista, recitò anche ne Il Casanova, La città delle donne, E la nave va, Intervista e Ginger e Fred. Fellini diceva che era nato per fare l’attore».

Per lei cosa è stato Federico Fellini?

«Innanzitutto una figura paterna straordinaria, che ti trasmetteva assoluta libertà, fantasia, il gioco. Poi aveva questo grande senso dell’umorismo. Quando era in buona ti poteva far ridere da mattina a sera».

Anche negli ultimi anni?

«Soffriva moltissimo l’invecchiamento. Non era in una grande forma fisica e questa cosa la tollerava pochissimo, anche perché aveva sempre avuto una grande energia».

Il suo grande interesse per l’esoterismo, il mistero, lei come se lo spiega?

«Ognuno di noi ha delle cose che l’attirano particolarmente. Per lui era questo. Se gli dicevano che c’era una bravissima cartomante lui la voleva conoscere. Ma non si faceva poi davvero condizionare. Ascoltava, ma poi faceva come voleva lui. L’unica persona che seguiva era Rol».

I suoi difetti?

«È vero che era un gran bugiardo, ma con le sue bugie rendeva la realtà più interessante. Poi certamente talvolta era impaziente. Aveva anche i suoi momenti di rabbia. Certe volte sul set si spazientiva, poteva apparire brusco ma lui non se ne rendeva conto. Se succedeva ad esempio che le attrici se ne avessero, poi andava da loro chiedendo “tesorino, perché stai piangendo?”. C’è poi da dire che faceva fatica a dire di no alle persone, per cui ad esempio accettava sempre le richieste di interviste salvo pentirsene un momento dopo. A un giornalista francese una volta diede un appuntamento a Parigi sotto la statua di Giovanna d’Arco ma poi non si presentò».

E il giornalista come la prese?

«Mandò un biglietto spiritosissimo. Lo aveva fatto aspettare sotto la neve».

Sulle donne esercitava un gran fascino. Non ebbe una vita da monogamo...

«La sua grande curiosità certamente la applicava anche al mondo femminile. Scherzosamente diceva “la cultura mussulmana ha capito tutto, è difficile avere una sola donna”. Ognuna portava qualcosa. L’aveva espresso del resto già in 8½.».

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