«In corso grave attacco alla libertà d’informazione»

La libera editoria in Italia è sotto attacco da più parti. Nonostante l’articolo 21 della Costituzione la tuteli e ne faccia uno dei pilastri della democrazia italiana, alcune forze politiche guardano all’informazione, alla stampa, come fumo negli occhi quando non, peggio, come un ostacolo alla loro affermazione elettorale e sociale e addirittura, in alcuni casi, come un nemico da combattere ed eliminare. Basta guardare all’esempio di Radio Radicale, che il Governo vuole in pratica chiudere, togliendole il contratto di servizio per produrre programmi di informazione parlamentare, e anche ai giornali cooperativi come il Corriere Romagna, uno dei pochi che ancora percepisce contributi pubblici, contributi che il Governo vuole dimezzare e quindi azzerare nel giro di due anni. Una mannaia forse letale per la piccola editoria locale, gli unici editori puri (che non hanno altro interesse oltre all’informazione), eppure tra i più bersagliati dagli strali dei politici che amministrano questo Paese.


Oggi ne parliamo con il presidente e il segretario generale della Fnsi, Beppe Giulietti e Raffaele Lorusso, i due numeri uno della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ovvero il sindacato di categoria dei giornalisti.


Giulietti, a differenza di Radio Radicale, la cui disdetta del contratto ha avuto una vasta eco, i tagli ai contributi dei giornali cooperativi sembrano non interessare a nessuno. Ordine dei giornalisti, sindacato e associazioni sono già scesi in piazza, ma il Governo appare irremovibile. Forse è un tipo di protesta con le armi un po’ spuntate?
«C’è una insensibilità assoluta sulla materia da parte del Governo, anche se ci sono alcune voci discordanti nella maggioranza. Ma la nostra protesta non si concluderà oggi, 3 maggio – Giornata mondiale della libertà di stampa proclamata dall’Onu –: non abbiamo nessuna intenzione di girarci dall’altra parte, e saremo di nuovo in piazza a Roma per protestare contro il taglio o il bavaglio ad alcune voci dell’informazione italiana. Inoltre il 14 maggio si terranno gli Stati generali dell’editoria, e per la prima vota in decenni ci sarà una vasta partecipazione. Anche qui, al centro e della giornata, saranno tagli e bavagli. Bisogna anche dire che qualche spiraglio si è aperto, abbiamo registrato un minimo di disponibilità per Radio Radicale, disponibilità che deve essere estesa anche alle altre voci tagliate».


La grande menzogna governativa è che tutti i giornali sono uguali e ugualmente da considerare come “nemici” dei partiti al Governo. Una strategia social che appare imbattibile…
«Il Governo finge di non capire che procedere in questo modo, senza aver impostato prima un percorso di riforma, è folle. Peraltro il nostro lavoro ha già prodotto qualche risultato. Per esempio il parere dell’AgCom (Agenzia delle Comunicazioni) che contiene un concetto essenziale e indispensabile: dice l’AgCom che non è possibile che prima si determinino i tagli e poi la riforma del settore. Credo che in tutte le sedi vada portato quel parere, e non solo per Radio Radicale, perché ha una valenza generale. L’intervento pubblico è sbagliato: l’articolo 21 della Costituzione certifica la necessità di tutelare le minoranze religiose, linguistiche e territoriali, una specificità, una specialità dei giornali locali. Lo ha detto chiaramente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e lo dissed anche il suo predecessore Giorgio Napolitano».


Sembra però che noi giornalisti non riusciamo a comunicare agli italiani che il sostegno dello Stato all’editoria cooperativa non solo è giusto in quanto previsto dalla Costituzione, ma che l’editoria non è il solo settore privato che riceve aiuti pubblici, basti pensare alla pesca o all’agricoltura.
«Non è così semplice in clima di demagogia dilagante; i grandi media spengono i riflettori sul tema, fingono di non avere paura, ma in realtà sanno bene che la questione non riguarda solo i piccoli giornali. Tutto nasce dal pregiudizio di alcuni politici, che pensano che la funzione del mediatore vada eliminata, in quanto superflua. Ma se passa questo concetto, crolla la diga delle libertà e dei diritti: dopodiché si passerà all’eliminazione della previdenza, delle pensioni e di tutte le condizioni materiali della nostra professione. In molti fanno fatica a comprenderlo, è un attacco al sistema nel suo complesso. L’azione collettiva che abbiamo condotto mai come in passato ha generato, rispetto al silenzio iniziale, alcune voci che si levano in nostro favore poiché cominciano a rendersi conto di come stanno le cose. Vedo alcune crepe nella maggioranza. La nostra battaglia è da combattere tutta con forza e radicalità. Il fronte opposto sembra granitico ma non dobbiamo mai abbassare le bandiere, nonostante lo scoramento. Oggi è come se non avessimo interlocutori, tutte le crisi in corso non hanno interlocutore, non siamo mai stati convocati a un tavolo, è come se per il Governo fosse una festa quella di azzerarci! C’è una grande diversità rispetto ad altre stagioni politiche. Ora pensano: più giornali chiudiamo, meglio è…».


Lorusso, tagliando o eliminando addirittura i contributi, si colpiscono soprattutto le testate minori, che senza non riusciranno a sopravvivere. Eppure sono proprio quegli editori “puri” che a parole i partiti governativi volevano tutelare…
«Questo deve far riflettere perché è l’ennesima conferma dell’impostazione del Governo: ridurre e colpire il pluralismo dell’informazione libera, che aiuti i cittadini a conoscere, capire e formarsi un’opinione. Hanno provato a “spiegarci” che i giornalisti dovrebbero limitarsi a registrare le notizie, senza interpretarle, senza commentarle. È una guerra dichiarata al ruolo dell’informazione, principale pilastro della democrazia. Ma questo indebolirà la tenuta democratica del nostro Paese, per produrre qualcosa o qualcuno di diverso, tipo la cosiddetta “democrazia digitale” che democrazia vera non è, essendo solo un immenso contenitore di cittadini in balìa di manovratori più o meno oscuri. Ma sia chiaro: non c’è democrazia senza informazione libera e indipendente».

Si vorrebbe, dopo secoli, ridimensionare drasticamente la funzione della stampa. Come è stato possibile? Abbiamo delle responsabilità come categoria? Dobbiamo fare autocritica?
«Sicuramente di errori ne abbiamo commessi e ne commettono i tanti che non fanno il loro dovere e violano le leggi deontologiche indebolendo tutto il sistema, minandone la credibilità e l’autorevolezza. Quindi, in primis, rispettiamo le regole».

A parte il Capo dello Stato che si è più volte chiaramente espresso in merito, dove e come deve cercare e trovare appoggi la piccola editoria oggi per sopravvivere?
«Dobbiamo tornare a parlare all’opinione pubblica; mi rendo conto che è difficile, ma dobbiamo tornare a far crescere nella gente la consapevolezza della necessità dell’informazione, a cominciare dalle scuole. La cultura, è noto, dà fastidio ai potenti. Il tema comunque non è piccoli o grandi: i tagli e bavagli che si cercano di imporre all’informazione riguardano tutti, il bavaglio è un tema che riguarda tutti. I nostri interlocutori sono sordi? E noi continueremo ad alzare la voce, affinché finalmente comincino ad ascoltare».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui