Coronavirus e solidarietà. «Grazie, mio padre non è morto solo»

Rimini

Piccoli grandi aiuti per regalare un attimo di conforto, prima della morte. Sembra il copione di un film, un racconto di dolore, amore ma anche tanta solidarietà. La storia parte da Merano, provincia di Bolzano, dove una giovane donna, Elena Coselli, si trovava con il figlioletto e la madre. Invece il patrigno Sergio Bonfiglioli, 81 anni, era a Mondaino dove abitava da solo in una casa, dopo una vita passata a fare l’ingegnere; e da qualche giorno non rispondeva al telefono. Preoccupata, Elena si è messa in contatto con i carabinieri di Riccione e, come per incanto, è entrata nel paradiso dei buoni sentimenti. E’ la stessa ragazza a descriverlo, inevitabilmente commossa: «Ho spiegato quanto stava accadendo a un militare dell’Arma, Dario, della centrale operativa di Riccione, e lui ha messo tutto se stesso per aiutarci: dopo diverse ricerche ha verificato che il 118 era intervenuto a casa di mio padre e l’aveva trasportato all’ospedale». Ma in quale, all’inizio, non si sapeva.
Gli ostacoli superati
Sono stati momenti drammatici, quelli vissuti a Merano, da Elena e da sua madre: da solo e debilitato, Sergio era entrato anche nel tunnel della solitudine, forse il più difficile da attraversare. «Io sono la figliastra – ricorda la Coselli – e per mettersi in contatto con i malati bisogna seguire protocolli e procedure. Un iter impraticabile in quella circostanza». Ma la giovane donna non si è arresa, e tanto meno si è dato per vinto Dario che, superando anche qualche ostacolo innalzato dai problemi burocratici, è stato costantemente al suo fianco e ha scoperto che l’81enne era stato ricoverato a Riccione, nel reparto Covid, quello destinato a chi è stato contagiato dal virus. La catena di solidarietà non si è però interrotta. «Un negoziante di telefoni, Angelo di nome e di fatto - continua Elena - mi ha venduto online un telefono e ha attivato la scheda, poi ha portato lui stesso tutto nelle mani di Sergio, in ospedale, grazie anche alla gentilezza di medici e infermieri».
Il conforto in un mare di lacrime
Per un attimo, Elena, sua mamma e il nipotino di sei anni, hanno pensato che di questa vicenda si potesse scrivere un lieto fine. «Siamo riusciti a parlargli e lui ha potuto sentire, attraverso le nostre voci, tutto l’amore che avevamo e abbiamo per lui. E il desiderio di poterlo riabbracciare. Ci è sembrato combattivo, come è sempre stato, del resto». Ha vinto il coronavirus, invece, e Sergio è morto la mattina successiva. Ha fatto in tempo, tuttavia, a lasciare un meraviglioso ricordo alla propria famiglia e un messaggio di speranza che fa breccia sulla inadeguatezza che spesso genera questa terribile pandemia. «In questo mare di dolore, abbiamo un conforto», dice la ragazza commossa, «quello di avergli parlato, di avergli detto che l’amavamo: non è poco e per questo voglio ringraziare con tutto il cuore Dario, Angelo, ma anche tutti i medici e gli infermieri che ci hanno permesso di trovarlo e di assicurargli un po’ di conforto anche a centinaia di chilometri di distanza. E gli hanno permesso di non farlo morire in solitudine, insomma».
Un esercito di sconosciuti
Elena non ha dimenticato neppure gli aspetti più pratici di questa tragica storia. Il funerale, per esempio. «Tanta gente sconosciuta ci ha aiutato: dall’agenzia di pompe funebri al Comune di San Giovanni in Marignano, dove Sergio era nato, che ha provveduto alla sepoltura assolvendo a tutte le procedure che sarebbe stato impossibile seguire a distanza. Come sarebbe stato impossibile raggiungerlo con la voce per l’ultima volta, regalandoci un momento che porteremo nel cuore per tutta la vita».

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