Coronavirus Ravenna, 10 aziende chiedono la cassa integrazione

Ravenna

RAVENNA. Sono già dieci le aziende a Ravenna che hanno chiesto la cassa integrazione in relazione all'emergenza del Covid-19, e questa sera al Tavolo dell'artigianato, convocato in corrispondenza con il Cimi (Cassa integrazione mutua fra le imprese), verrà firmato il ricorso a questo ammortizzatore sociale straordinario per un po' meno di un centinaio di lavoratori.

Crisi nel ramo educativo
A confermarlo è il referente ravennate della Cisl Romagna, Roberto Baroncelli, che controfirmerà assieme ai colleghi di Cgil e Uil e ai rappresentanti delle associazioni datoriali, il provvedimento a sostegno del reddito dei lavoratori che darà un po' di ossigeno alle aziende in difficoltà che hanno visto il proprio mercato in conseguenza alla situazione sfociata con il diffondersi del nuovo Coronavirus: «La metà delle aziende sono del ramo educativo», spiega lo stesso dirigente cislino. Si tratta infatti di scuole paritarie e di asili che - vista la chiusura imposta per queste due settimane e quella che dovrà protrarsi fino al 15 di marzo – hanno fatto ricorso alla misura statale per superare questo momento di difficoltà. Un filone ulteriore e differente rispetto a quello relativo agli educatori presenti nelle scuole pubbliche e assunti dal privato cooperativo.

Gli altri comparti
Ma in questa prima tranche di imprese del mondo artigiano che hanno già evidenziato la necessità di cassa integrazione straordinaria non ci sono solamente delle scuole, ma anche imprese del mondo dei trasporti: «Da un lato la chiusura degli istituti, dall'altro la sospensione delle gite – approfondisce il ragionamento Baroncelli – ha messo in difficoltà anche questa realtà economica». Alcune puntuali richieste sono giunte anche dal mondo metalmeccanico e da quello ristorativo: «Della difficoltà di quest'ultimo comparto e in generale dal settore turistico, però, è probabile che vediamo ancora solamente la punta dell'iceberg – prosegue il rappresentante ravennate della Cisl Romagna -. Si paleserà più avanti e si potrebbe manifestare non solo in richieste di ammortizzatori sociali ma anche in minore occupazione. Mettiamoci nell'ordine di idee comunque che questa emergenza sanitaria potrebbe non risolversi il 15 marzo».

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