Coronavirus e pubbliche relazioni. Cesenate nel cuore dell’emergenza

Cesena

CESENA. Una voce autorevole sul tema globale del Coronavirus viene da Alessandra Cappelletti.
Cesenate classe 1976, ha studiato al liceo scientifico Righi; il suo percorso di studi, fra cui quello sullo sviluppo sociale ed economico dello Xinjiang cinese (regione da cui passava la Via della seta) è passato dall’università Ca’ Foscari di Venezia, poi all'Università cinese di Minzu, e l’ha spinta verso la Cina dove vive da 8 anni. Dopo cinque a Pechino e uno nella regione del Xinjiang, da due vive a Suzhou, 12 milioni di abitanti, città storica a 30 minuti da Shangai. Nel Campus di Suzhou è professore associato nel Dipartimento di Relazioni Internazionali della Xi'an Jiaotong - Liverpool University. In questi giorni si è aggiunto per lei un altro compito impegnativo: in un team che si occupa di pubbliche relazioni in riferimento al Coronavirus.

Alessandra, quale nuovo compito le è stato affidato?
«Sono stata scelta - risponde da Suzhou - come rappresentante, per il mio Dipartimento di Relazioni Internazionali, per i rapporti con il gruppo di lavoro sulla prevenzione del contagio, e il dipartimento risorse umane dell’università. Informiamo le autorità locali sullo stato di salute dei docenti e sugli spostamenti. Faccio anche parte del gruppo “English Teachers for Hubei”, per dare lezioni gratuite di inglese agli studenti delle superiori dello Hubei che non sanno quando potranno tornare a scuola. Sento che il mio posto ora è qui».

Qual è il suo punto di vista sul panico che si sta diffondendo nei confronti del virus?
«È un timore giustificato; è nuovo, sconosciuto, non si sa né l’origine, né le modalità di trasmissione, i morti salgono di 25 al giorno (giovedì 213, mercoledì 171). Al 31 gennaio sono stati confermati 9.720 casi in tutto il Paese, e si stima che ogni contagiato abbia trasmesso il virus ad almeno altre 2 persone. Pure così aggressivo, è però meno mortale di altri come Sars e Mers. La paura, in Cina come all’estero, è dovuta all’incertezza su tutto, anche sul vaccino. Ciò disorienta ma è nelle crisi che si misura la forza delle persone. Il panico non aiuta, debilita le difese immunitarie, perché crea stress».

Si sente isolata in questi giorni?
«C’è un certo senso di vuoto, ma a Suzhou non mi sento isolata perché con i miei colleghi dell’università (cinesi e stranieri) siamo in contatto continuo; solo qualche studente internazionale è andato via dalla nostra università, tra cui un italiano. La città continua a vivere nelle case, nei supermercati e farmacie. Il trasporto pubblico è rallentato ma funziona, i taxi sono disponibili; caffè, palestre, luoghi di ritrovo, spa, centri commerciali sono invece chiusi. Restano aperti supermercati e farmacie. Nella nostra università è stato posticipato l’inizio del semestre e interdetto l’accesso al campus».

Costretta a stare in casa, come occupa il suo tempo?
«Faccio lunghe passeggiate intorno a un lago vicino, vedo cassieri e addetti alle farmacie continuare a lavorare senza alcun incentivo economico, ciò fa capire come siano le persone semplici in un momento così difficile a dare un supporto a privilegiati come me. Mi sento sempre con mio marito Michelangelo Cocco, che lavora al Centro Studi sulla Cina Contemporanea di Reggio Emilia. Le telefonate della mamma sono un po’ allarmistiche, ma posso capirla».

Come apprendete gli aggiornamenti sul virus e qual è la posizione del Governo di Pechino?
«Le autorità locali informano i cittadini tramite una piattaforma online ed sms. A oggi i contagiati nella provincia del Jiangsu sono 168, a Suzhou 32 ma due hanno lasciato l’ospedale in buone condizioni. Le autorità di Pechino sostengono che l’ipotesi della fuoriuscita del virus da un laboratorio batteriologico è una fake news inventata da qualche complottista americano. Si sa che a Wuhan il primo caso è stato registrato il primo dicembre, ma l’annuncio alla popolazione è stato dato un mese dopo, il coprifuoco a Wuhan è cominciato il 23, quindi c’è stato un ritardo per una diagnosi tempestiva. Ritardi nella comunicazione, uniti al capodanno cinese che porta un numero pari a 5 volte la popolazione italiana e al picco influenzale di questo periodo, hanno facilitato la diffusione dell’infezione».

Quali ricadute sta subendo l’economia?
«Le attività economiche sono chiuse come scuole e università, aziende, si vedono poche auto in giro, direi quindi che il danno economico ci sarà. Circa 5 milioni di wuhanesi hanno lasciato la città. Io però mi sento molto tranquilla, so in quale ospedale andare, ho fiducia in questo Paese; per il momento non vedo ragioni per muovermi, resto qui».

Cosa l’ha portata a scegliere la Cina come paese adottivo?
«Forse è la Cina che ha scelto me. Ho cominciato a studiare cinese classico a Venezia nel 1995, dopo la maturità al liceo Righi di Cesena e non ho più smesso, ho semplicemente seguito il mio “sentimento”, o istinto, senza usare troppo razionalità. Qui sono in una situazione privilegiata, la mia vita è sempre a contatto con gli studenti, facciamo ricerca, pubblichiamo e mandiamo avanti insieme questa università. Parlo cinese e mi sento forse un po’ cinese».

Della Romagna non le manca nulla?
«Mi mancano il mare, le colline, le persone, la famiglia, le dimensioni ridotte, l'atmosfera. Sento però un collegamento invisibile e costante con la mia terra e quindi non ho nostalgia».

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