Coronavirus, la videochiamata dà voce alle persone con demenza

RIMINI. In questo spazio le psicologhe e gli educatori che operano nei Servizi a Bassa Soglia rivolti alle persone con difficoltà di memoria, Centri d’Incontro e Caffè Alzheimer raccontano l’esperienza degli interventi che si stanno realizzando attraverso l’uso di strumenti tecnologici e sistemi di comunicazione a distanza, per mantenere un contatto con le persone e i loro familiari durante l’emergenza per il Coronavirus.

Francesca Vaienti*
Il contatto con le persone è fondamentale, si sa. Ma non lo capisci appieno fino a quando non lo puoi più avere. In questa situazione, se ti fermi come ci ha fermati il coronavirus, ti rendi conto dell’importanza della presenza, delle relazioni, degli amici, dei colleghi. In due parole: dello stare con gli altri. Lo dice molto bene Marco, una persona con problemi di memoria durante una videochiamata, strumento con il quale abbiamo cercato di rimanere in contatto con le persone del Centro d’Incontro di Rimini, nonostante la distanza: «Io sono come un passero che sta volando e che va in una gabbia… ».
Quando gli chiedo cosa gli manca del centro mi risponde con delicatezza: «Non poter vedere gli amici… Vorrei vedere Enrico perché nei video non l’ho ancora visto». La moglie di Enrico non dispone di un telefono “tecnologico” che le permetta di mostrare al marito i video messi in chat, in cui le persone del centro si salutano o fanno gli esercizi. Dal momento che Marco mi mostra con soddisfazione gli esercizi che ha fatto (in particolare quelli di memoria e i mandala), incuriosita gli chiedo come mai non ne faccia così tanti al centro. Marco risponde con sensibilità: «Perché là ci sono gli altri, qui sono solo… Lì, ci sono le persone… Ma sono le circostanze del mondo che ci fanno affrontare tutto questo».
Incredibile. Siamo distanti, ma potersi vedere, con questo strumento, rende libere le persone.
Libere di esprimersi, di avere uno spazio per sè e di concedersi un maggior contatto. Forse più vero, meno trattenuto. Anche più intimo. Colpisce come Marco sappia usare lo schermo, alla faccia della diagnosi di demenza: ti guarda dritto negli occhi, attento. Più che dal vivo.
Forse succede proprio così, come diceva oggi la figlia di una persona con problemi di memoria durante un incontro di supporto di gruppo on line del Cafè Amarcord di Rimini: «La mia mamma guarda proprio lo schermo! Si concentra e guarda. Percepisce meglio perché c’è silenzio… non ha un contorno che la disturba… tutto è fermo intorno… La possibilità di questo video è veramente tantissima!». Un’altra familiare afferma con stupore: «Mia mamma mentre Cristina parlava (la musicoterapeuta) mi fa: zitta un po’! Capisci!? Non voleva ascoltare solo la musica. Lei voleva sentire le parole».
E alla fine ho capito.
Mentre parlo con i familiari in videochiamata mi accorgo, di fatto, che lo schermo ti porta ad osservare direttamente la faccia dell’altro, non da un’altra parte. E che le persone, “costrette” a guardarsi, quando parlano si fanno più attente all’altro, cercano di lasciare spazio e tempo. Nella distanza, si ascoltano di più. E’ proprio vero che si fa più attenzione! Vuoi vedere che alle persone con demenza succede la stessa cosa?
«Alla fine questo virus ci sta insegnando che non puoi sempre correre, che devi rallentare, cambiare i ritmi… e adattarti». Lo dice un familiare, ma pare proprio, da queste testimonianze, che valga pure per le persone con demenza. Né più e né meno.

*psicologa (2-continua)

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