Coronavirus a Rimini. «Io primo contagiato, trattato da lebbroso»

Rimini

«Non ho attaccato il virus a nessuno». Cesare Emendatori, il titolare della trattoria La romagnola di San Clemente, passato alla cronaca come primo caso accertato di Covid-19 nella provincia di Rimini, ci tiene a dichiarare la sua estraneità rispetto ai casi di contagio che in seguito a quel fatidico 26 febbraio si sono verificati nel Riminese. «Sono stato trattato come un untore, ma non è colpa mia» dice infatti il 71enne Emendatori, ricordando che in occasione delle fiere di Sigep e di Beer attraction nel suo ristorante avevano mangiato «persone provenienti da Milano, da Bergamo e anche dalla Cina». «Quando io ho scoperto di avere il coronavirus - sentenzia Emendatori - era già in giro da parecchio».
Signor Emendatori, come si sente ora, a più di due mesi dalla scoperta dell’infezione?
«Fisicamente sto bene, sono guarito, e mi sono ripreso del tutto, per fortuna. Recentemente ho fatto i raggi, e hanno confermato che la polmonite è pienamente guarita e non sono rimasti strascichi della malattia. Ma è stata dura. Molto».
Intende la malattia?
«Sì, ma non solo per i sintomi in sé, che per fortuna non erano così gravi da farmi intubare, ma per l’accanimento che io e la mia famiglia ci siamo trovati a dover sopportare. Tutti, la stampa, i telegiornali, le persone del posto, mi hanno trattato come un untore, come se i contagi che ci sono stati fossero in qualche modo dipesi da me. Già scoprire di avere il coronavirus quando ancora non si sapeva come trattarlo è stata una bella “botta”, ho avuto davvero paura. Poi tutto l’accanimento che si è riversato su di me ha reso ancora più difficile quello che già era un bruttissimo momento. Per come mi trattavano, sembrava che avessi la lebbra».
Cosa ricorda di quei giorni?
«La porta che mi ha chiuso dentro una cella da solo, senza nessuno, spaventato. Non ho avuto bisogno di essere intubato, ma comunque mi sentivo uno straccio. Quando sono andato all’ospedale, dopo essere tornato dalla Romania, avevo la febbre alta, che non mi scendeva nonostante prendessi la Tachipirina. Poi dalle lastre è risultata la polmonite, da lì mi hanno fatto il tampone ed è partito tutto. Per fortuna mia moglie, i miei figli, i miei parenti, e soprattutto mio cugino, mi sono stati molto vicini. Senza il loro supporto sarebbe stata davvero dura. Mi è dispiaciuto che anche loro siano stati coinvolti in questa faccenda. Quando mia moglie stendeva i panni in giardino chi passava per la strada si voltava da un’altra parte. Una cosa inaccettabile».
Anche i suoi famigliari hanno avuto il Covid-19?
«No, nessuno di loro. Ma neanche tra i cuochi o gli altri miei dipendenti. Si è ammalato il cantante del karaoke, anche se è risultato completamente asintomatico, probabilmente perché si è infettato attraverso il microfono, così come due clienti. In generale, comunque, non si può pensare che la responsabilità sia la mia. Io non ho attaccato il virus a nessuno, punto. E nessuno può sapere chi sia stato il primo caso».
E’ preoccupato per il suo futuro?
«Sono preoccupato per il mio lavoro, per il mio ristorante. Erano cinque anni che mi “facevo il sedere” per farlo funzionare, e poi di punto in bianco è successo questo, e adesso mi chiedo se e quando riaprirò la gente verrà».
Ha intenzione di riaprire il ristorante a breve?
«Sì, io il primo giugno, o appena si potrà, riapro, e spero che tutto vada per il meglio. Ma voglio cancellare quest’immagine di me che è stata creata, come se io sia stato il responsabile di tutto quello che è successo qui. Ciò che desidero, adesso, è unicamente gettarmi tutto alle spalle e ricominciare».

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