Coronavirus, a Faenza la scuola "a domicilio" con un camper

Faenza

FAENZA. All’insegnante faentina Giulia Zaffagnini, in forza all’istituto comprensivo San Rocco, è venuta un’idea del tutto originale, dopo essersi chiesta: «Se i ragazzi non possono andare a scuola, perché non portare la scuola a domicilio?». Così ne ha parlato con la dirigenza, ha rispolverato il suo vecchio camper, un Volkswagen Westfalia del 1987, si è procurata una lavagna, ed ora è probabilmente il primo esempio di scuola “on the road” in Italia. Parcheggia davanti alla casa degli alunni che già seguiva, uno alla volta, nel rispetto della norme di sicurezza, tira fuori lavagna, gessetti, banco portatile e si mette ad insegnare all’aria aperta. L’istituto ha condiviso e la sua idea è diventa il “Progetto scuola senza frontiere”.

Per coinvolgere gli alunni
«Il diffuso desiderio di superare le distanze – spiega la dirigente Marisa Tronconi – ha spinto molti docenti a ingegnarsi in nuove iniziative che potessero coinvolgere gli alunni nel rispetto delle regole. E tra le varie soluzioni trovate spicca quella di Giulia Zaffagnini, una nostra giovane insegnante di sostegno, già impegnata nel volontariato, che con la collega Laura si occupa di un laboratorio linguistico per alunni di origine straniera». Giulia Zaffagnini dallo scorso mese di settembre segue Kaltra, Modou, Sharif e Battista, quattro ragazzi tra gli 11 i 14 anni che frequentano la scuola secondaria di primo grado Bendandi, giovani studenti con maggiore difficoltà rispetto ad altri per seguire lezioni online, proprio per via della lingua.

Contatto diretto e stimoli
«In questo modo – riferisce in proposito la stessa docente – si riesce ad essere più presenti e a vivere ciò che maggiormente manca: la possibilità di relazione, il contatto diretto, attivo, fatto di contesti diversificati e di socialità stimolanti». Con ciascun alunno vengono portati avanti programmi singoli di lingua italiana, ma anche educativi: «Nei nostri incontri è importante la supervisione diretta: diventa immediata l’osservazione e la correzione di un errore, sono fondamentali i gesti e gli sguardi che aiutano a percepire meglio l’efficienza, l’errore, il livello di comprensione e apprendimento. C’è stato subito interesse e partecipazione da parte della scuola e delle famiglie. I ragazzi dicono che vanno molto meglio così».

Da un’abitazione all’altra, un paio di volte a settimana, un’ora per ciascun alunno. Ad avviso della preside Marisa Tronconi «al sopraggiungere dell’emergenza, mentre tutti si sono organizzati per portare avanti la didattica a distanza, Giulia ha avuto un’idea geniale: non si tratta di una scuola alternativa, ma dettata dall’emergenza, possibile per disponibilità personale, gli alunni da seguire sono pochi, quindi fattibile, non certo un metodo sistematico, comunque qualcosa di straordinario dato il momento. Rientra nei tentativi di comunicazione, di creare quell’empatia che dietro a un personal computer è pressoché impossibile. Con le scuole dell’infanzia stiamo tentando con un ristretto numero di bambini per volta anche lezioni al parco».

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