Condannato e licenziato, ma l'ex vigile rivuole posto e soldi

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Continua a dichiararsi innocente, diversamente da quanto finora hanno decretato i giudici che lo hanno condannato per estorsione a 4 anni e 10 mesi, in primo grado e in appello. Accuse che esattamente un anno fa sono costate il posto a Gian Carlo Valgimigli, vigile urbano licenziato il 12 giugno 2020 dal corpo di polizia locale dell’Unione della Romagna Faentina. Il 52enne ha già fatto ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento delle sentenze, ma in parallelo ha avviato a sua volta la causa per un provvedimento che reputa ingiusto: vuole essere reintegrato e rimborsato degli stipendi non percepiti dal giorno dell’interruzione del rapporto di lavoro. Se ne dovrà occupare il giudice Dario Bernardi, che al termine della prima udienza - già tenuta - ha richiesto la documentazione al tribunale penale relativa il processo per il quale si attende l’ultimo grado di giudizio.

Porsche, Ferrari e minacce

Per ora vale la sentenza che la Corte d’Appello di Bologna ha emesso il 22 dicembre scorso. L’ex agente è stato riconosciuto colpevole dell’estorsione commessa ai danni di un noleggiatore di auto di lusso; un imprenditore che conosceva bene, al quale si rivolgeva per giretti in Porsche e Ferrari, vetture a bordo delle quali colleghi e conoscenti erano ormai abituati a vederlo circolare in città. Almeno fino al giorno in cui la Squadra Mobile lo ha arrestato in flagrante.

Il 52enne gli aveva chiesto 10mila euro: non era un prestito, secondo l’accusa, ma il prezzo per evitare che un fantomatico gruppo di pericolosi albanesi lo gambizzasse. Il vigile gliel’avrebbe confidato l’8 settembre del 2019, mettendolo a conoscenza dell’inquietante spedizione punitiva che lo vedeva come bersaglio. Facendo nomi e cognomi, lo aveva informato che una persona in causa con un suo familiare aveva assoldato un gruppo di malviventi per rifarsi nei suoi confronti, pagando un acconto di 5mila euro e promettendo il saldo di altrettanti denari a lavoro compiuto. Valgimigli si era offerto di fare da mediatore per risolvere la questione, sistemando la cosa in cambio della stessa cifra pattuita dal presunto mandante al fantomatico commando di picchiatori. Il noleggiatore di auto aveva accettato di pagare una prima tranche da 5.400 euro; le banconote erano però segnate, passate all’imprenditore al vigile dopo avere informato la polizia di Stato.

Quei soldi, in realtà, non sono mai finiti nelle tasche degli “spaccaossa” albanesi; 1.400 euro sarebbero stati spesi dal 52enne in una gioielleria per comprare un regalo alla fidanzata. Così, il 24 settembre era scattato il blitz, concluso con l’arresto in flagranza.

Licenziato alla prima condanna

La vittima dell’estorsione si è costituita parte civile con l’avvocato Alfonso Gaudenzi, che attende ora la fissazione dell’udienza davanti alla Suprema Corte, alla luce del ricorso presentato per conto dell’imputato dall’avvocato bolognese Gabriele Bordoni. Secondo la linea difensiva sulla quale gli Ermellini si dovranno esprimere, non sarebbe mai stato depositato nel fascicolo il verbale nel quale l’imprenditore all’epoca lamentò il ricatto subìto da Valgimigli, andando così a compromettere le scelte difensive.

Meno “garantista” la decisione presa il 12 giugno 2020 dall’Unione dei Comuni della romagna Faentina; non ha atteso nemmeno il deposito delle motivazioni della condanna di primo grado, e ha licenziato in tronco il vigile. L’ex dipendente - assistito in questo procedimento dall’avvocato forlivese Giuseppe Mazzini - ha impugnato il provvedimento, sostenendo di non avere mai commesso il fatto contestato e pertanto di non avere leso alcun vincolo fiduciario. L’Ente si è a sua volta affidato all’avvocato Maria Cristina Tassinari. Se la dovranno vedere nell’udienza fissata a settembre.

Il fulcro delle accuse principali mosse dalla procura per quanto riguarda Valgimigli, è contenuto nell’avviso di fine indagini, notificatogli a inizio novembre. L’ex vigile, insomma, rischia un nuovo processo. Il capo d’imputazione riguarda, tra l’altro, il suicidio di un macellaio 64enne, che fu trovato impiccato all’interno del proprio negozio il 25 luglio del 2019. Prima di togliersi la vita, aveva scritto in alcuni fogli il nome del vigile, indicandolo come l’usuraio che lo aveva portato a compiere il gesto estremo. Da qui - dopo l’iniziale contestazione di istigazione al suicidio -, l’accusa riformulata in ultima istanza è di “morte come conseguenza di altro reato”, appunto, l’usura.

A questa si aggiungono gli altri capi d’imputazione, che riguardano due truffe e un’estorsione, perpetrate nell’arco di sette anni, con un giro d’affari ricostruito dalla guardia di finanza che supera il milione di euro. Tra le presunte vittime, due anziane e benestanti sorelle faentine, e un collezionista di divise. Per questo, in attesa della Cassazione per l’estorsione già giudicata in Appello, ora il 51enne si avvicina verso un nuovo processo. FED.S.

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