Cold case di Alfonsine, nuove carte emergono al processo

“Era la voce di Tasca? Sì”. E’ un appunto scritto a mano quello rinvenuto in uno dei tanti fascicoli d’indagine chiusi quando l’omicidio di Pier Paolo Minguzzi fu archiviato come irrisolto. A metterlo nero su bianco nel 1987 (mesi dopo il sequestro di persona culminato con il ritrovamento del cadavere del carabiniere di leva 21enne, figlio di una delle più note famiglie di imprenditori agricoli di Alfonsine) era stato un comandante dei carabinieri che all’epoca seguiva l’inchiesta. Aveva segnato il nome di Orazio Tasca, in quegli anni militare nella locale Stazione e ora accusato di avere architettato il rapimento a scopo di estorsione e l’omicidio del ragazzo, con la complicità dell’ex commilitone Angelo Del Dotto e dell’amico nonché idraulico del paese Alfredo Tarroni. Con la riapertura delle indagini, nel 2018, quel manoscritto è affiorato fra il materiale investigativo che all’epoca non è mai confluito, nonostante i sospetti, ad alcuna imputazione per i tre. E’ uno degli aspetti rimasti finora inediti dell’inchiesta, rivelati durante il processo davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Michele Leoni (a latere Federica Lipovscek) ed emersi quando gli uomini della Squadra Mobile hanno acquisito tutti gli appunti investigativi relativi al “cold case”. Ma c’è un altro indizio emerso in aula. Un biglietto, che colloca l’auto al tempo utilizzata da Tarroni a pochi chilometri dal punto in cui fu ritrovato il corpo del povero Minguzzi, riemerso il Primo maggio dal Po di Volano a Ca’ Rossa di Codigoro. Quando nel 2018, su impulso dell’ex procuratore capo Alessandro Mancini fu riesumato il corpo del 21enne, un anonimo contattò i suoi familiari, addossando la responsabilità dell’omicidio ai due ex carabinieri e all’idraulico. Le indagini hanno portato alla sua identificazione: si trattava di Enzo Ancarani, socio negli anni ‘80 di Tarroni nella “Termoidraulica srl”. Quando la ditta andò in liquidazione dopo l’arresto per i fatti dell’estorsione Contarini, il collega acquistò la sua auto nera che era intestata alla società. Guardando nel cruscotto, trovò il tagliando di un’autofficina tutt’ora esistente a San Giuseppe, nei pressi di un motel. Per l’accusa è la prova che l’idraulico frequentava le zone delle valli, nel Ferrarese, dove sorgeva il casolare abbandonato in cui Pier Paolo fu tenuto nascosto per giorni, prima di essere gettato in acqua legato a una grata in ferro.

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