"Cocoricò tapes", il tempio della trasgressione in un docufilm

Spettacoli

RICCIONE- Quella piramide la conoscono un po’ tutti, si è sempre saputo che per entrarci c’era la fila e il biglietto era costoso; dentro però c’era l’arte allo stato puro, uno spettacolo unico e irripetibile.
Non siamo a Parigi e non è il Louvre, è semplicemente il Cocoricò di Riccione.
In questo periodo in cui le discoteche sembrano poter esser solo un ricordo, c’è chi ha deciso di prendere quei ricordi e ricostruire fedelmente le incredibili storie del club più famoso d’Italia.
Negli stessi mesi in cui il locale si appresta a tornare la meta preferita del popolo della notte, qualcuno ne estrapola il Dna.

Cocoricò tapes è un docufilm che racconta gli anni 90 all’interno del tempio della trasgressione, in particolar modo sotto la direzione artistica dell’eclettico Loris Riccardi.

La particolarità però sta nel fatto che tutto il materiale raccolto sarà esclusivamente un archivio amatoriale e televisivo in vhs; quello che è stato e che succedeva lì dentro immortalato dalle videocamere. In quegli anni non esistevano gli smartphone, entrare in discoteca con una telecamera era proibitivo e proibito, soprattutto nei luoghi borderline come il “cocco”. Rari spezzoni e di qualità pessima, che per la qualità invece di ciò che testimoniavano sono immagini inestimabili.
«Il film vuole usare il presupposto del Cocoricò per raccontare un periodo storico che idealmente parte dalla caduta del muro di Berlino e arriva fino al nuovo millennio – racconta Francesco Tavella, l’autore e regista –; paure, incertezze, desideri e frustrazioni di una generazione che da un lato non si riconosceva nei suoi genitori, ma che davanti aveva uno scenario più simile a Blade Runner che ai mitici e produttivi anni 60».
Un progetto ambizioso, che inizia incontrando il direttore storico del locale, Renzo Palmieri; sarà lui a contattare i personaggi del vecchio staff, tra cui la madrina delle pubbliche relazioni Silvia Minguzzi, il grafico Marco Mussoni, l’iconico performer Principe Maurice e, ovviamente, il cromosoma impazzito di quella nightlife, Loris Riccardi.

«Il futuro non è mai quello di una volta, eravamo in piena evoluzione, eravamo pronti a dire e a fare – esordisce il visionario e storico art director –. Ho incontrato questi ragazzi e la loro energia mi ha fatto venir voglia di aiutarli; non sono i primi a chiedermi di partecipare a un film sul Cocoricò, ma credo che loro abbiamo lo spirito giusto».

Per molti quel posto fu solo musica techno e strobo impazzite, in realtà dentro questa cornice c’era una costante denuncia sociale: la guerra del Golfo, il dilagare dell’Aids, la nascita dei movimenti Lgbt, ma anche la diffusione della droga e l’abuso in generale. La verità sfacciatamente pura, in quello che per molti teenagers diventò la discoteca della menzogna: mentire ai genitori per andarci, mentire agli amici dicendo di esserci stati almeno una volta nella vita.

«Le riprese televisive di repertorio sono la voce senza censure dei giovani che venivano intervistati fuori dal locale – racconta ancora il regista –, le paure e i desideri di una generazione. Gli archivi saranno alternati a una parte di docufiction, nella quale le persone sopra citate racconteranno a modo loro quel che era il Cocoricò».

L’ambiziosa ricostruzione è prodotta da La Furia Film di Cesena, nelle persone di Giacomo Benini e Luca Nervegna; nel calendario del 2021 è scritta la data in cui chi c’era si rivedrà, chi non c’era se ne pentirà.

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