Ciclismo, Roberto Conti: "Pantani? A Bagno attaccherebbe di sicuro"

Torniamo indietro una ventina d’anni, anche qualcosina in più. Cosa sarebbe stata la tappa di Bagno di Romagna se si fosse disputata quando in gruppo c’era ancora Marco Pantani? Lungo il percorso ci sarebbe stata la folla delle grandi occasioni, i giorni di ferie si sarebbero sprecati, in attesa di uno scatto del Pirata, logicamente nel punto più difficile della tappa. «Confermo - dice Roberto Conti, professionista per vent’anni scarsi e fidato gregario di Pantani - la squadra avrebbe osservato con grande attenzione la corsa, sarebbe stata alla finestra e poi sull’ultima salita una botta Marco l’avrebbe data alla sua maniera».

Soprattutto per i tanti gli appassionati romagnoli che l’aspettavano all’impresa: «Perché Marco era un personaggio, oltre che un vincente. Al ciclismo italiano manca tanto un Pantani, ma anche un Cipollini, gente in grado di infiammare le folle sia per il colpo di pedale che per il loro modo di porsi pubblicamente. Prendiamo Nibali: rispetto a Pantani e Cipollini, due specialisti sui loro terreni preferiti, Vincenzo ha vinto tutti i tre grandi giri e pure le classiche, è un ciclista completo e vincente, eppure forse per il suo carattere più riservato, non ha toccato i picchi di popolarità di Marco e Mario (Conti è stato gregario di entrambi, ndr)».

Si parlava di tattica, quando vi riunivate per affrontare la tappa successiva? Così Conti: «Una grande corsa a tappe veniva studiata con attenzione prima della partenza, poi ogni sera si decideva la strategia da seguire il giorno successivo, anche analizzando le condizioni dei singoli corridori. Il direttore sportivo passava nelle nostre camere e studiavamo il da farsi».

Tornando al Giro d’Italia: Conti fa la conta... «Ne ho fatti 17 e finiti 15. Non ho vinto nessuna tappa ma ho conquistato la maglia Bianca nel 1987, al secondo anno di professionismo».

È così dura concludere una corsa come il Giro? Conti sospira: «Non è una passeggiata, sono sempre tre settimane, ma se la preparazione è buona e il fisico risponde, non ci sono problemi».

A distanza di anni, Conti ricorda ancora il suo primo giorno sui pedali: «Mi ha messo sulla bici un mio vicino di casa, andavo in giro con lui, mi ha portato a vedere il Giro di Romagna, passavano da una collina all’altra per seguire i momenti più belli della corsa».

Conti segue ancora le corse dal vivo: «Quando ho tempo sì, l’anno scorso sono andato a Imola per i Mondiali».

Conti ha iniziato a correre a 12 anni e ha quindi vissuto nel ciclismo: «Un fantastico passaggio della mia vita, la voglia di sacrificarsi, perché è stato faticoso, ma ne è valsa la pena visti i tanti ricordi belli che conservo».

Ma voi corridori riguardate in televisione o su internet vecchi filmati del ciclismo o anche di voi stessi in gara? Conti sorride: «Io sì, mi faccio coinvolgere dalle immagini e mi emoziono ancora adesso».

Conti ha vinto due corse in carriera, il Giro di Romagna del 1999 ma soprattutto una tappa al Tour de France. Non una tappa banale. «Eh no, nel 1994 vinsi all’Alpe d’Huez, la montagna per eccellenza del ciclismo. Era un Tour molto duro, il giorno prima avevamo affrontato il Mont Ventoux, c’era stanchezza in gruppo ma in Francia non c’è mai un momento di sosta e si ripartì il giorno dopo a tutta. Ho capito che stava nascendo la fuga buona e mi sono buttato, non c’erano più compiti di squadra perché il nostro capitano, Pavel Tonkov, si era ritirato. La cosa curiosa è che quando Marco vinse all’Alpe d’Huez nel 1997 volando su quei tornanti, io arrivai 8° a 2’59” ma impiegai meno rispetto all’anno in cui vinsi».

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