Ciclismo. Ferretti: "Io, Gimondi e le grandi classiche"

Fedele gregario sui pedali, pluri-vittorioso da direttore sportivo, sempre appassionato di ciclismo a pochi mesi dai suoi 80 anni. Il “sergente di ferro” Giancarlo Ferretti da Lugo è sempre lui, senza peli sulla lingua (uno che diede della ‘canaglia’ a un suo corridore arrestato nel 2015 al Tour per aver fatto uso di doping), orgoglioso di snocciolare i numeri dei suoi risultati. «Non ho mai vinto una gara da corridore ma mi sono rifatto in ammiraglia. In trent’anni da tecnico ho collezionato 875 vittorie, 29 nelle grandi classiche, nei “cinque monumenti” come la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia, la Liegi-Bastogne-Liegi, l’Amstel Gold Race e la Parigi-Roubaix».

Numeri pazzeschi, ma c’è sempre stata una precisa strategia con Ferretti al timone. «Non ho mai puntato sulle grandi corse a tappe e quindi neppure sui corridori che avevano caratteristiche da grandi giri. Perchè il concetto è ‘chi arriva secondo è primo degli imbecilli’ e non aveva senso puntare su Giro, Tour o Vuelta, preparare a lungo queste corse per poi rischiare di arrivare secondo. Quindi per me era meglio giocarsi tutte le carte in una sola giornata».

Il corridore più forte con cui ha corso? «Troppo facile, Felice Gimondi. Ho fatto per tanti anni il suo gregario, resta uno dei più forti in assoluto. Un grande capitano. Poi certo, come non parlare di Merckx, ma di Eddy - e qui Ferretti se la ride di gusto - preferisco ricordare le nostre ubriacate assieme».

Quanti Giri d’Italia ha corso? «Dieci, senza mai arrivare vicino alla vittoria. Perchè ai miei tempi i compiti di gregariato erano chiari: si lavorava per il capitano perchè vinceva solo il capitano. Adesso spesso sento dichiarazioni roboanti di ciclisti che pensano di essere dei vincenti, ma al momento decisivo steccano completamente. Chi non è capace di vincere può anche andare a spasso».

Lei ha guidato dall’ammiraglia fior di campioni. C’è un corridore che avrebbe voluto nella sua squadra e non è mai riuscito a prendere? «Certo, Francesco Moser, un altro grande personaggio del nostro sport. Personalmente non mi sono mai accontentato, ho sempre voluto vincere e credo che se avessi avuto Moser nella mia squadra, il numero delle vittorie da direttore sportivo, soprattutto nelle grandi classiche, sarebbe aumentato decisamente».

A proposito di Moser, quanto manca al ciclismo italiano un dualismo come quello che c’era con Saronni, oppure il mitico Coppi-Bartali o addirittura quello a tre con Binda, Guerra e Girardengo? «Manca tanto, è una componente fondamentale nello sport, soprattutto a livello individuale. La lotta, la battaglia, il duello appassionano e proprio questi dualismi hanno rappresentato, anzi rappresentano ancora, momenti indelebili nella storia del ciclismo».

Il Giro d’Italia 2021 ha vissuto domenica una tappa importante. Il previsto e atteso attacco di Egan Bernal l’ha portato direttamente in maglia rosa. Crede che abbia già messo una seria ipoteca sulla vittoria finale? «Premesso che questo ragazzo dovunque va a correre ottiene il massimo e resta il naturale favorito della corsa, come sempre sarà l’ultima settimana e soprattutto saranno le montagne a fare la differenza. Lì si fa sul serio, chi non ha le gambe molla e basta una sola giornata difficile per mandare tutto all’aria».

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