Ciclismo, a Imola nel 1968 Morena Tartagni fece la rivoluzione

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Non solo Vittorio Adorni. Il mondiale di Imola del 1968 è entrato nella storia del ciclismo italiano anche per un’altra medaglia: il bronzo conquistato da Morena Tartagni nella prova in linea femminile. Quella fu la prima medaglia vinta nella storia del ciclismo femminile azzurro. Una medaglia vinta in Romagna, ma che ha anche tantissima Romagna nel proprio dna. Morena Tartagni, cresciuta a livello ciclistico in Lombardia, è infatti nata a Predappio e, nonostante abbia lasciato la terra natale a soli 8 anni, è ancora legatissima alle sue origini forlivesi. «Io mi considero a tutti gli effetti una romagnola - esordisce la Tartagni, nonostante l’accento racconti perfettamente i 60 anni vissuti in Lombardia - e sono ancora legatissima alla mia terra. Sono nata a Predappio e fino alla 3ª elementare ho vissuto nella mia città natale. Erano gli anni del dopoguerra, pieni di precarietà, e i miei genitori si trasferirono in Svizzera per cercare di darci un futuro, mentre io rimasi con i nonni a Predappio. A 8 anni avvenne finalmente il ricongiungimento e ci trasferimmo tutti a Baranzate, vicino a Milano, dove sono cresciuta. Il sogno di mio padre era di di tornare a vivere nella sua casa di Trivella e non nego che, se non fossi legata da troppe cose qui in Lombardia, anche il mio desiderio sarebbe quello di tornare in Romagna». Quando la Tartagni vinse il bronzo a Imola era la più giovane atleta in gara: una ragazzina di appena 18 anni che sfidava rivali e pregiudizi, conquistando una medaglia storica. «Mi definisco orgogliosamente una pioniera del ciclismo femminile – spiega il bronzo di Imola 1968 - perché quando iniziai a correre il nostro sport era solo maschile. Noi donne non eravamo considerate e la federazione ci trattava come un peso e un costo inutile. Basti pensare che il ciclismo femminile ha esordito alle Olimpiadi solo nel 1984 e che spesso non ci venivano pagati i costi dei viaggi. Ad esempio, dopo aver esordito ai Mondiali giovanissima al Nurburgring nel 1966, l’anno successivo non fummo mandate alla rassegna iridata. E poi arrivò Imola». A Imola, nella sua Romagna, esplose il talento di quella ragazzina occhialuta e piena di grinta: «Io sapevo di andare forte - commenta la Tartagni - perché mi allenavo con i maschi ed ero consapevole della mia condizione. Ma non avevo un’idea di come mi sarei potuta piazzare in una gara come il Mondiale. Non avevo mai corso all’estero, non conoscevo le avversarie e non le avevo mai viste. Ho semplicemente cercato di dare sfogo a tutte le mie possibilità e il 3° posto in volata è stato una sorpresa e un’esplosione di gioia. La storia del ciclismo femminile azzurro è iniziato con quel bronzo». A proposito di mondiali, quelli della Tartagni non sono finiti a Imola, anzi. L’azzurra ha infatti replicato con gli argenti conquistati a Leicester nel 1970 e a Mendrisio nel 1971, entrambi alle spalle della sovietica Anna Konkina. Ma questa volta il rammarico è stato superiore alla gioia. «In Inghilterra mi sono incollata alla scia dell’olandese Hage (oro a Imola, ndr). Mi sono accorta troppo tardi che era la ruota sbagliata, sono uscita troppo tardi e purtroppo, anche se ero in netta rimonta, non sono riuscita a recuperare la Konkina. A Mendrisio il rammarico è ancora più grande: mi hanno montato un rapporto troppo agile e nella volata in leggera discesa, la Konkina che aveva un rapporto decisamente più duro è riuscita a battermi ancora. Peccato perché, dopo un bronzo e un argento, la maglia iridata avrebbe rappresentato il coronamento di una carriera».

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