Cesenatico, la prima volta che la Chikungunya arrivò in Europa: il racconto dalla prima linea del focolaio di Ferragosto a Castiglione di Cervia del 2007

Cesenatico
  • 12 ottobre 2025

Se oggi la Chikungunya fa un po’ meno paura è perché la si conosce e si sa cosa fare per contenere e prevenire i contagi. Il protocollo che scatta in questi casi è quello previsto dalle linee guida nazionali e contiene una serie di pratiche che sono nate in Romagna, non molto distante da Cesenatico. Sono quelle che il dipartimento di Igiene pubblica dell’allora Usl Ravenna mise a punto in una drammatica estate a ridosso del Ferragosto nel 2007. Allora i casi registrati furono complessivamente 247. In prima linea c’era Raffaella Angelini, ex direttrice del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl Romagna oggi in pensione.

La prima telefonata

«Fu un battesimo del fuoco per me - ride Angelini - adesso sappiamo tutto, ma allora non era mai successo nulla di simile e fu davvero impegnativo». Era la prima volta che in Italia e in Europa ci si trovava ad affrontare un focolaio di una malattia fin lì conosciuta come tropicale. Angelini ricorda ancora la telefonata che stravolse quell’estate: «Era venerdì 10 agosto. Ci chiamò una persona che si qualificò come residente di Castiglione di Cervia infamandoci. Ci disse che là si stavano ammalando tutti e ci accusò di non fare nulla». E in effetti fino a quel momento non avevano neppure potuto sospettare che nella piccolissima Castiglione di Cervia stesse succedendo qualcosa. Dopo quella chiamata il primo tentativo di capirne un po’ di più venne fatto con il Pronto Soccorso: «Abbiamo chiesto se avevano notato accessi strani da quella zona, ma la risposta fu negativa. Poco dopo però ho scoperto un numero inusuale di residenti di Castiglione di Cervia che per motivi e in reparti diversi si trovavano ricoverati in ospedale». Cominciarono allora a chiamare a tappeto i medici di base: «Con sorpresa scoprimmo che tutti avevano casi di pazienti con febbre alta e che lamentavano forti dolori articolari, ma nessuno fino a quel momento aveva avuto l’intuizione di avvisare l’Igiene pubblica».

L’indagine epidemiologica

Venne quindi attivata un’indagine epidemiologica: con l’aiuto dei medici rintracciarono tutte le persone che avevano o avevano avuto i sintomi e questo permise di acquisire primi preziosi elementi: «Per come erano distribuiti i contagi capimmo quasi subito che il contagio avveniva con un vettore, un insetto. Questo e il tipo di sintomi ci faceva pensare a una malattia tropicale, ma non riuscivamo a trovare nessuno che fosse rientrato da un viaggio all’estero». Su indicazione dell’Istituto superiore di sanità cominciò la raccolta di campioni di sangue. L’ipotesi che si fece largo in quei giorni era che si trattasse di una febbre da pappataci, ma quando gli entomologi misero le trappole non ne trovarono. Segnalarono invece un gran numero di zanzare tigre. Fu a quel punto che, ancora prima di avere una diagnosi, di concerto con i sindaci (al plurale perché nel frattempo si erano registrati contagi anche a Castiglione di Ravenna) avviarono una disinfestazione massiccia: «Per tre notti di seguito venne dato un insetticida a base di piretro nelle strade e vennero mandate squadre casa per casa a trattare i giardini privati». Era il 18 agosto e la diagnosi di Chikungunya sarebbe arrivata solo il 24 agosto. Fu l’intuizione vincente: «Dopo quel trattamento la curva epidemiologica crollò a picco. Il successo fu tale che quella strategia inventata da noi oggi fa parte delle linee guida nazionali».

Le sinergie vincenti

«Fu un’esperienza che cambiò il mio modo di pensare professionalmente - racconta Angelini -. Se avessimo aspettato la diagnosi prima di agire i casi sarebbero stati tanti di più». Fondamentale, sottolinea, «fu anche la collaborazione che ricevemmo dai sindaci Fabrizio Matteucci e Roberto Zoffoli: eravamo nel pieno della stagione turistica non era scontato. Così come importante fu Ciani, presidente di quartiere che fu abilissimo nel fare da ponte con i residenti perché anche la loro collaborazione fu determinante». Di quello che era successo a Castiglione di Cervia si interessarono anche Oms e Ecdc, «Castiglione di Cervia finì anche sull’Herald Tribune», racconta divertita. Anche la stampa ebbe un ruolo importante: «Raccontare i casi, non nascondere nulla, aiutò a contenere il panico».

Il paziente zero

Alla fine Angelini riuscì anche a scoprire come il virus era arrivato fin lì: «Scoprimmo che il primo caso risaliva a luglio, riguardava una famiglia indiana che però non era stata in India. Il capofamiglia era andato a prendere un cugino in arrivo dal Kerala, che poi avevano ospitato per una cena all’aperto con tutta la famiglia. Quel cugino, poi risultato positivo agli anticorpi è stato punto da una zanzara che poi ha contagiato qualcun altro». Il resto è storia.

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