'Ndrangheta in Riviera: "Cesenatico ha mostrato gli anticorpi"

Cesenatico

Se gli uomini della ‘ndrangheta avessero mantenuto un profilo più basso sarebbero senz’altro arrivate meno segnalazioni che hanno portato Dda e Guardia di finanza a 23 misure cautelari e a beni sequestrati per 27 milioni. Quella del sindaco Matteo Gozzoli è stata solo una delle numerose segnalazioni del periodo. Agli inquirenti ne sono arrivate tante dalla società civile, a sottolineare i comportamenti anomali che erano sotto gli occhi di tutti. In paese se ne parlava: troppi acquisti di strutture turistiche (ristoranti, un albergo, bar pasticcerie, pubblici esercizi, chioschi), anche in zona pregiata, fatti dalle stesse persone in un momento di crisi per il Covid. «Sono nato e cresciuto - spiega Gozzoli - nell’hotel a gestione familiare dei miei genitori e ho sempre visto come era difficile far quadrare i conti. E certe acquisizioni a raffica non tornavano. Me le hanno segnalate e io l’ho fatto presente a chi di dovere». Che stava probabilmente già indagando. Il sindaco commenta: «Il lato negativo è che la criminalità organizzata si è infiltrata anche da noi. Quello positivo è che il territorio ha riconosciuto il problema e ha mostrato di avere gli anticorpi, segnalandolo da più parti». A finire nei guai nell’inchiesta, nonostante vari episodi riguardino Cesenatico, è stata una sola persona residente in città: il 51enne Alessandro Di Maina, originario di Bologna, e sottoposto all’obbligo di dimora. Secondo gli inquirenti, ha agito in concorso con la famiglia Patamia, della cosca dei Piromalli, e il cui rampollo Francesco di 34 anni nonostante fosse ta tempo “chiacchierato” è riuscito a candidarsi alle recenti elezioni politiche a Piacenza per il centrodestra nella formazione di Maurizio Lupi. L’ascesa commerciale del reggiano Fp Group, gestito dai Patamia padre e figlio e poi fatto fallire, ha visto l’appoggio in loco, oltre alla presenza di Patamia junior che ha bazzicato a lungo Cesenatico, anche di Di Maina, che non si sarebbe mai fatto scrupolo di assumere comportamenti minacciosi e di prevaricazione contro chi avrebbe potuto opporre resistenza. Per lui gli inquirenti temono il rischio di reiterazione dei reati commessi. Che sono associazione di tipo mafioso, estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Oltre al reato di minaccia che avrebbe perpetrato nei confronti di chi aveva contestato una sanzione amministrativa per abbandono di rifiuti in un ristorante-osteria che era di fatto gestito dai Patamia. Un altro episodio che lo vede coinvolto, con i due Patamia e con l’accusa di estorsione in concorso, riguarda le violenze e minacce a un imprenditore per costringerlo ad accettare condizioni per lui peggiori nella cessione del ramo d’azienda del laboratorio di pasticceria a Cervia per l’azienda Dolce Industria di Cesenatico, poi fatta fallire e dove Di Maina operava di fatto come dirigente. Allo stesso indirizzo è stata poi collocata la sede di altre industrie dolciarie da parte dello stesso gruppo.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui