Cesenatico, ecco come era l’antica stazione di posta di epoca romana

Nemmeno 4 chilometri dopo aver lasciato il mare, imboccata via Canale Bonificazione, la provinciale che da Cesenatico conduce a Sala, sulla sinistra si apre il cantiere della Snam per la posa di un metanodotto. Qui i tecnici della Snam operano fianco a fianco con quelli della Soprintendenza e della ditta Gea a cui sono stati affidati gli scavi archeologici.

Nel corso dei lavori di posa delle condutture è stata scoperta quella che ha tutte le caratteristiche di un’antica mansio, attiva tra il I secolo a.C. e il IV-V d.C. In pratica una stazione di posta romana a margine di una via secondaria, tra le basolate strade romane, che racchiudevano questo spiccio di territorio romagnolo: le consolari Popilia che conduceva ad Adria, l’Emilia a Piacenza e la Flaminia diretta a Roma. Ad appena una cinquantina di centimetri sotto il piano di campagna, in un campo a seminativo gli archeologi hanno scavato un’area di 95 metri per 25 disseminata di manufatti, coperta di reperti e resti di antichi insediamenti. C’è quello che doveva essere un esteso edificio per il ristoro e la sosta, una grande fornace per la cottura di pietre, tegole e vasellame d’uso comune (una seconda rimane da scavare) e ancora una necropoli risalente a fine impero: 26 tombe scavate, benché ce ne siano tante di più, già individuate, ancora da disseppellire.

Per tutto il pomeriggio di ieri il sito, oggetto di apertura straordinaria al pubblico, è stato meta di centinaia di visite. È tanto l’interesse suscitato dalla scoperta. In mattinata ci sono andati i ragazzini delle scuole di Cesenatico e di Cesena. L’archeologa della Soprintendenza Annalisa Pozzi è chiamata in prima istanza ad accogliere i visitatori. Inquadra sotto l’aspetto storico la scoperta, collegandola con quelle precedenti recenti, a partire da quella di Gatteo. L’archeologo Corrado Caporali spiega ai visitatori la stratigrafia del terreno. Ci sono i rinvenimenti di cotto e pietrisco che affiora sulla superficie circostante lo scavo. Sotto, le basi dei muri della mansio, poi abbandonata e dove in epoca antica furono depredate le pietre per farne nuovi usi. Monia Morri, archeologa riminese, illustra con dovizia di particolari come erano costruite e funzionavano le fornaci verticali 2/B (mentre a una distanza di soli 800 metri in linea d’aria si conserva quella di Ca’ Turci): di forma rettangolare, il corridoio centrale, camere di combustione ai lati, la temperatura che doveva raggiungere i 1.200 gradi. Sopra c’era un piano forato su quale si metteva a cuocere l’impasto d’argilla, sormontato da una volta contenitiva da rinnovare a ogni cottura. Servivano alberi e legna da bruciare, acqua per impastare. Mario Canonaco si occupa dello scavo delle inumazioni, ne indica tante nel terreno. Spiega che quando quel posto fu abbandonato dagli uomini (attorno al V secolo) divenne luogo di sepolture. Riesumati e studiati quei poveri resti in base all’età, al sesso, alle condizioni di censo, con quei semplici corredi funerari lasciati per raggiungere l’aldilà: una fibula, una moneta, del vasellame, una collanina. A conclusione del percorso a Elia Rinaldi e Isabella Giannino è affidato il compito di mostrare e descrivere gli oggetti ritrovati.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui