Zona Gialla: bar e ristoranti di Cesena pronti a riaprire

Cesena

La notizia della zona gialla fa tirare un sospiro di sollievo a ristoratori e baristi, la voglia di tornare a lavorare non manca, ma si accompagna alla consapevolezza di quanto sia ancora precaria la situazione e i cambi dell’ultimo momento sul giorno di entrata in vigore del passaggio alla zona gialla, ne sono solo la più recente dimostrazione.

Pronta alla protesta

Graziella Dallara, titolare del ristorante la Cerina di San Vittore aveva già deciso: «Lunedì avrei partecipato alla protesta dei ristoratori e avrei aperto in ogni caso, perché davvero non se ne può più. Mense e autogrill possono lavorare, i supermercati sono pieni di gente, possibile che ci si contagi solo al ristorante? Ormai non si sa più a cosa credere e io - si sfoga - sono stufa di farmi prendere in giro». Il passaggio alla zona gialla fa tirare un sospiro di sollievo ma non cancella i timori: «Chissà quanto durerà... Spero davvero non ci facciano più chiudere così tanto, siamo davvero stremati». «La zona gialla è una buona notizia, ma mi confrontavo anche con altri colleghi ristoratori: nessuno si aspetta di cominciare a lavorare subito. La gente ha paura. A maggio ci è voluto un mese perché la gente tornasse al ristorante».

«Contenti ma non esultiamo»

Nonostante la indole ottimista Luisa Del Sorbo, che insieme al marito è titolare dell’Atelier del Caffè di via Dandini, comincia ad accusare un anno davvero duro sotto il profilo professionale. «La zona gialla? Ce lo aspettavamo, anche se oramai facciamo fatica ad esultare, io e mio marito ormai siamo molto consapevoli che è una zona gialla che durerà poco, prendiamo quello che arriva. Febbraio non è un mese facile, abbiamo attrezzato il dehor con stufe e illuminazione, speriamo almeno che il tempo sia clemente. Noi abbiamo provato e continuiamo a provare di tutto, ma lavorare fino alle 18 in queste condizioni non è lavorare».

Il contatto che manca

«Se facciamo questo lavoro - aggiunge Del Sorbo - è perché amiamo stare a contatto con la gente, coccolare i clienti, curare i dettagli… Quello che manca di più è il contatto con le persone, questa è una cosa che comincia davvero a pesare, mi rendo conto che vado a lavorare meno volentieri, anche se noi ci sentiamo davvero fortunati: in questo periodo abbiamo davvero sentito il grande affetto dei nostri clienti». Quando ripensa al periodo del primo lockdown si commuove: «I 50 giorni più duri della mia vita. Io e mio marito facciamo lo stesso lavoro e abbiamo un figlio di 8 anni. Ormai ci siamo rassegnati a questo gioco dei colori, sappiamo che dobbiamo resistere anche se siamo stanchi. Ce l’abbiamo soprattutto con le istituzioni che non controllano chi non rispetta le regole, manca la volontà di fare i controlli».

«Siamo carichi»

«Ho appena avvisato i miei soci e dipendenti», risponde al telefono Enrico Biguzzi, che con Alan Grilli, Roberto Montalti e Alessandro Braschi gestisce il Riot Cafè stessa squadra con cui a fine ottobre ha aperto il ristorante Sangiò in piazza Amendola. «Da quando abbiamo aperto siamo riusciti a lavorare solo una manciata di giorni. Durante il primo lockdown al Riot abbiamo cercato di lavorare con gli asporti, ma siamo un bar di periferia, si lavora poco, per questo in questo seconda ondata di restrizioni abbiamo optato per la chiusura. Al Sangiò invece da 23 dicembre siamo riusciti a lavorare solo due giorni... Non sappiamo quanto durerà la zona gialla, ma siamo pronti a rimanere aperti ogni giorno. La speranza è che le proteste a cui abbiamo partecipato anche noi a Cesena, a Bologna, A Roma, abbiano aiutato anche a far passare il messaggio che la situazione è dura. Il virus, contrariamente a quel che ancora va dicendo qualcuno esiste eccome, dobbiamo responsabilizzarci un po’ tutti perché la situazione non peggiori ancora». E per la riapertura assicura, «Siamo già carichi, abbiamo tanti amici che non vedono l’ora di venirci a trovare, speravamo di poter cominciare già domani».

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