La pioggia e la neve delle ultime settimane hanno sì aiutato ma non hanno certo risolto del tutto la sete del territorio romagnolo. Il discorso vale sia per i rubinetti delle famiglie e sia (soprattutto) per chi, come gli agricoltori, ha bisogno di acqua per il suo lavoro. Ieri la diga di Ridracoli è salita ancora ed è giunta a circa 40 centimetri dalla sua capienza massima, quella che consente la cosiddetta tracimazione con la spettacolare cascata. Ma i problemi restano sugli altri fronti: dal canale emiliano romagnolo che attinge dal Po (e che quest’inverno ha raggiunto livelli bassissimi) alle falde.
Il tavolo a Roma
Ieri a Roma si è riunito il tavolo interministeriale per l’emergenza siccità e Utilitalia, presieduta da due settimane dal ravennate Filippo Brandolini, ha lanciato otto proposte concrete per favorire l’adattamento infrastrutturale delle reti idriche al cambiamento climatico. Tra queste l’uso dell’acqua del mare. Cos’è Utilitalia? É la Federazione delle imprese dei servizi pubblici le cui associate forniscono i servizi idrici all’80% della popolazione italiana. «I periodi siccitosi», spiega Brandolini, «non possono più essere considerati eccezionali. Vanno pertanto affrontati attraverso interventi che favoriscano la resilienza delle reti idriche nell’ambito di un approccio globale che consideri tutti i diversi utilizzi dell’acqua nel nostro Paese, garantendo la priorità all’uso civile». Per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, le aziende italiane del settore idrico sono pronte a mettere in campo investimenti per circa 11 miliardi di euro nei prossimi 3 anni: 7,8 saranno destinati ad interventi per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico delle aree urbane ed una maggiore resilienza delle infrastrutture, e 3,1 miliardi per contrastare il fenomeno delle dispersioni idriche. «Parliamo», aggiunge Brandolini, «di serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti. Ma per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile che, va ricordato, riguarda il 20% degli usi dell’acqua, servono azioni sinergiche che coinvolgano anche il mondo agricolo e interventi non più procrastinabili sul fronte della governance».
Ridracoli, scelta azzeccata
E la Romagna? «All’interno del distretto del Po», spiega Brandolini al Corriere Romagna, «la crisi idrica sta impattando sul territorio romagnolo in misura decisamente minore rispetto ad altre zone, penso al Piemonte Occidentale o alla Lombardia. La diga di Ridracoli è piena ai massimi livelli, a dimostrazione del fatto che si è rivelata corretta la scelta della Romagna di investire negli invasi. Restano però alcune zone che, dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico, sono fortemente dipendenti dalle acque superficiali e in particolare dal Po. É quindi fondamentale che la governance della risorsa fra le tre regioni attraversate dal fiume garantisca, per questi territori, i giusti quantitativi di acqua per garantire l’uso idropotabile. Un altro tema fondamentale è quello del contrasto all’intrusione del cuneo salino nel Po, che rischia di compromettere non solo l’uso idropotabile dell’acqua ma anche quello agricolo».
Otto proposte anti crisi
Ecco allora le otto proposte. La prima prevede di promuovere un uso efficiente dell’acqua, incentivando ulteriormente la riduzione delle perdite e i comportamenti virtuosi per evitare gli sprechi. La seconda punta alla realizzazione di opere strategiche: invasi grandi (a uso plurimo) e piccoli e medi (a uso irriguo) e reti di interconnessione delle reti idriche. La terza parla del riutilizzo efficiente delle acque depurate a fini agricoli e industriali (un potenziale di 9 miliardi di metri cubi l’anno sfruttato solo al 5%). La quarta è legata al contrasto dell’avanzata del cuneo salino, attraverso l’aumento dei volumi delle falde: lo scorso anno il cuneo salino è risalito di diverse decine di chilometri nel Po ma anche in altri fiumi del nord. L’impinguamento della falda rappresenta una soluzione che contrasta l’immissione di acqua salata dal mare.
Acqua dal mare
Il quinto punto si concentra sulla diversificazione della strategia di approvvigionamento, con la produzione complementare di acqua potabile anche attraverso la dissalazione: in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna. Ma è necessario anche rafforzare la pianificazione (sesto punto) dei sette distretti idrografici, il cui ruolo è indispensabile nella governance interregionale della risorsa idrica, soprattutto nella gestione delle fasi particolarmente siccitose.
I tempi lunghi della burocrazia
La settima attiene più alle gestioni, col sostegno alla presenza digestori industrialie al conseguente superamento delle gestioni in economia per superare il problema della mancanza di investimenti. Infine si ritiene necessario semplificare le procedure per la realizzazione degli investimenti (oggi in Italia le procedure autorizzative occupano oltre il 40% del tempo necessario per la realizzazione di un’opera infrastrutturale).