Lo scontro sul caso “Sofalegname-Gruppo 8” si sposta da Forlì a Cesena: picchetti e strappo all’incontro in Prefettura

ll durissimo scontro sindacale attorno alla vicenda “Sofalegname-Gruppo 8”, sito di produzione nel settore del mobile di lusso a basso costo, si sposta da Forlì a Cesena, nello stabilimento di un contoterzista a Calisese. Sembra infatti che in un capannone che come tanti in zona era usato per produzioni frutticole una ventina di anni fa (edifici poi in gran parte dismessi dismessi) siano state delocalizzate le produzioni che, al termine di un braccio di ferro, si era concordato di mantenere a Forlì.

A rendere ancora più preoccupante lo scenario, anche il fatto che in quel punto, tra le vie Cavecchia e Suzzi, nello scorso novembre un blitz dei carabinieri e della Polizia locale fece venire alla luce una grave realtà di lavoro sommerso con la presenza di una ventina di cinesi e africani che mangiavano e riposavano negli stessi spazi dove svolgevano attività manifatturiere, come testimoniato all’atto del controllo dalla presenza di una lunga fila di poltrone e divani. A dirigere il tutto era una cinese.

Picchetti e incontro col prefetto

Perciò, oltre a nuove proteste sotto le bandiere del sindacato autonomo Sudd Cobas, con picchetti giorno e notte con tanto di tende davanti al capannone a Calisese, si stanno mettendo in moto verifiche delle autorità competenti ed è stata coinvolta la Prefettura. Ieri c’è stato un incontro, ma i rappresentanti sindacali ne sono usciti molto amareggiati. «È durato 3 minuti e il prefetto non ha fatto altro che accusare il sindacato dei picchetti - riferiscono -. Siamo all’assurdo. Per iniziare l’incontro si è posta come condizione la chiusura dei picchetti, quando la condizione minima sarebbe il rispetto dell’accordo e il pagamento degli stipendi e dei contributi Inps da parte dell’azienda». Perciò vengono annunciati «picchetti a oltranza».

La lotta di ieri e di oggi

Una vicenda che si trascina da tempo. Alle contestazioni da parte dei rappresentanti sindacali in merito alle condizioni di lavoro degli operai, il mese scorso si era sommata la comunicazione da parte dei vertici aziendali dell’intenzione di chiudere la fabbrica. Dopo 17 giorni di sciopero, sembrava che si fosse trovata una quadra, con un accordo firmato in Prefettura il 20 luglio scorso, con ricorso al contratto di solidarietà. Invece giovedì sera, sono state messe catene ai cancelli del sito produttivo di via Gramadora ed è stata denunciata dai Cobas una delocalizzazione della produzione a Cesena, con spostamento di semilavorati e attrezzature.

Gli attivisti del gruppo “Forlì Città Aperta”, che hanno seguito la vicenda nella sua evoluzione a Forlì, sostenendo anche i presidi di protesta di un combattivo gruppo di lavoratori, sintetizzano così quello che sta accadendo: «Da un lato c’è un’azienda che sfrutta i lavoratori e non rispetta nessuno degli accordi presi davanti alle istituzioni, provando a delocalizzare la produzione, pur avendolo pubblicamente negato, dall’altro un gruppo di lavoratori decide di lottare per i propri diritti, senza arretrare di un passo, nel mezzo le istituzioni, che si sono fatte garante di un accordo sfacciatamente disatteso».

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