Gaza e affari di guerra: Stop Rearm Europe Cesena, Linda Maggiori e portuali di Ravenna lottano uniti

Cesena

Il genocidio a Gaza e gli intreccio economico-politici globali. Temi di cui si è parlato nei giorni scorsi al circolo Vigne in piazza Partigiani con la giornalista Linda Maggiori, in un incontro pubblico organizzato dalla neonata rete Stop Rearm Europe di Cesena.

Linda Maggiori è una giornalista indipendente che, grazie al suo coraggio, è riuscita a denunciare un carico di armi in transito nel porto di Ravenna e diretto a Israele, sprovvisto di autorizzazione Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento). Stop Rearm Europe-Cesena, rete di associazioni del territorio (come Anpi, Libera, Cgil, Europa Verde, Fondamenta, Legambiente) e di partiti politici (Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana e Ugs) l’ha voluta incontrare nell’ambito del percorso di mobilitazione cittadina dal basso per dire no al riarmo in Italia e in Europa. Nella sala gremita di gente si è parlato di movimenti di denaro, politiche industriali e delle realtà economiche del territorio emiliano-romagnolo che sempre più, ha affermato Maggiori, «preferiscono buttarsi sul mercato della guerra, convertendo le loro produzioni poiché, in un momento di crisi, rende molto di più costruire carri armati e cannoni piuttosto che altri beni di consumo civile». Il suo intervento ha poi preso di mira la politica del transito delle merci nei porti italiani, le commistioni poco chiare tra progetti di sicurezza con droni subacquei al porto di Ravenna e l’Università di Tel Aviv, che comporterebbe un grave conflitto di interessi. Ha inoltre snocciolato impressionanti dati dettagliati sull’export che avviene con Israele.

Anche l’intervento durante la serata di un lavoratore del porto di Ravenna appartenente al “Comitato autonomo portuali”, Axel Viroli, ha aiutato a render meglio l’idea di ciò che sta accadendo là: moltissimo materiale, probabilmente con vettori, destinatari o utilizzi poco chiari, transitano dai porti italiani in barba alle leggi che vietano il commercio di armi a Paesi in guerra o che stanno commettendo crimini contro l’umanità. Il blocco di queste merci - ha spiegato Viroli - spesso è rimesso a comitati o organizzazioni di portuali che, unendosi e minacciando scioperi, provano a rendere più umani i porti italiani. Ma «servirebbe una direzione unica di tutto il Paese Italia, e non decisioni sparse qua e là, rimesse ai singoli sindacati».

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