Documentari e impegni politici, da Cesena alla terra di Rè Artù

«Dalla politica ai documentari sul dialetto romagnolo: ecco la mia vita nella terra di Re Artú». Si è trasferita quasi trent’anni or sono in Gran Bretagna la 48enne cesenate, Eva Montemaggi, per eleggere poi dal 2022 a sua dimora il Galles, spesso definita “Terra del drago”, da uno dei simboli della sua bandiera. Ampio il suo curriculum: antropologa di formazione, Eva ha lavorato anche in politica, «ricoprendo per 8 anni il ruolo di consigliera comunale a Cardiff, nei banchi dei liberal democratici». Di seguito è tornata sui libri «per affrontare un dottorato in Sociologia, Antropologia e Religione». Ora, infine, la sua attenzione si concentra nell’ambito cinematografico «con l’obiettivo di realizzare film-documentari sulle lingue di minoranza - specifica ancora - tra cui romagnolo, gallese e basco». Tradizioni identitarie, le definisce, che sarebbe un peccato smarrire. Nei prossimi decenni, intanto, si immagina ancora nel Regno Unito.
Pro e contro
«Del Galles amo i paesaggi ma anche il senso di comunità molto spiccato - dice - a fronte di una storia più socialista rispetto al resto del Paese». E già che c’è, sfata qualche luogo comune sul regno di sua maestà, Carlo III. «Nella maggior parte dei casi, gli italiani non pensano al Galles in modo separato rispetto al resto della Gran Bretagna». Il motivo? «I gallesi sono sempre stati un po’ schiacciati dall’Inghilterra e guardano all’Europa come alla via per avere più dignità tant’è che la Brexit non li ha entusiasmati». Quanto a Cesena, le manca non solo la famiglia «ma anche la ricchezza artistica del territorio». Uno solo, invece, il rimpianto che l’accompagna: non aver esplorato a dovere la natura della terra d’origine, «salvo una recente partecipazione alla Pedaleda da Cesena a Cesenatico». Alla lista nel segno della nostalgia aggiunge sapori come raviggiolo, passatelli e il pesce cucinato alla romagnola. Tornando alla Gran Bretagna, dopo 14 anni di governo conservatore, la vede «in affanno per servizi pubblici che non funzionano e perdita di investimenti, causa Brexit». Infine, ammesso che ne esista una, non è quella dove vive «la patria della meritocrazia». Da qui il suo desiderio nel cassetto: che quanti abitano in Italia «l’apprezzassero di più, lavorassero per renderla migliore e un po’ meno ingessata favorendo i contatti con gli emigrati». Proprio le scarse relazioni con la madrepatria «sono infatti il grande rammarico - riconosce - di molti italiani, e quindi dei romagnoli, all’estero».