Crediti d’imposta inventati per 36 milioni: condannato vertice di due aziende di Cesena

Aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate l’acceso a crediti d’imposta per una cifra che supera i 36 milioni di euro. Tutti soldi “giustificati” da lavori e acquisizioni in ambito edilizio. La Guardia di Finanza ha però scoperto che questa persona aveva due ditte intestate, ma che non si occupavano in alcuna maniera di edilizia e comunque lavori e acquisizioni di particelle immobiliari non erano in alcun modo veritiere.
Era accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato A.B., cesenate all’epoca dei fatti ma che ora risulta residente fuori regione. Il suo caso è stato preso in esame ieri dal giudice Federico Casalboni nell’aula in cui l’accusa era sostenuta dal pubblico ministero Alice Lusa.
Le imputazioni a carico dell’uomo erano nate da verifiche condotte da parte della Finanza. Due aziende intestate all’uomo e di cui era quindi legale rappresentante, la Gamap Srl e la Nove Srl, avevano inserito nell’apposito portale richieste di accumulo di credito d’imposta, rispettivamente per una cifra di 22.910.000 e 13.300.000.
Per fruire del credito d’imposta risultante da queste cifre “investite”, i soggetti interessati devono presentare all’Agenzia delle Entrate un’apposita comunicazione nella quale devono essere indicati i dati degli investimenti agevolabili e del credito d’imposta del quale è richiesta l’autorizzazione alla fruizione.
Tutte richieste che, dalla ricostruzione in aula, venivano inserite nel portale dell’Agenzia delle entrate il venerdì sera, pensando forse così di poter avere delle certificazioni valide al credito da parte dello Stato (o quanto meno una ricevuta) prima che il personale di controllo rientrasse al lavoro il lunedì. Se fosse intenzione dell’uomo cedere (dietro compenso) ad altri quei crediti d’imposta fittizi per tramutarli in denaro, non è dato sapere; resta nelle ipotesi della Procura. Fatto sta che tutte le pratiche inserite sono di lavorazioni e compravendite di tipo edilizio ma per particelle residenziali o cantieri di edili di varia natura di cui le aziende di proprietà di A.B. non si sono mai occupate. In alcuni casi si trattava anche di unità immobiliari inesistenti.
Di qui la richiesta di condanna da parte dell’accusa alla quale la difesa dell’uomo (avvocato Sofia Gabellini) ha risposto chiedendo invece l’assoluzione. Motivo: se da un lato lui era responsabile di quelle aziende, non vi era alcuna prova, secondo la difesa, che ad inserire fisicamente quelle richieste sul portale dell’Agenzia delle Entrate fosse stato l’uomo. Non erano inseriti login da computer di proprietà dell’imputato e non vi poteva essere dunque certezza che a fare quelle operazioni illecite fosse stato lui.
Alla fine il giudice ha riqualificato le accuse in tentata truffa aggravata per erogazioni pubbliche. Decidendo per una pena di due anni e sei mesi di reclusione.